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Caso Muggia, serve pulizia non polizia

di Ivano Zoppi, presidente di Pepita onlus

Come spesso capita quando si parla di violenza giovanile, la cura rischia di nuocere più della malattia. Centinaia di giovani identificati dalle Forze dell’ordine dopo giorni di risse, vandalismi e pestaggi organizzati via chat, con tanto di quota d’iscrizione. I fatti di Muggia, località balneare vicina a Trieste, riaccendono i riflettori sul disagio giovanile. Un film già visto durante la scorsa estate, quando alcuni drammatici episodi spinsero il governo ad emanare il Decreto Caivano.

La soluzione? Più ronde, accessi limitati e controlli sui mezzi pubblici. Il presidio del territorio non può rappresentare una risposta ad un’emergenza, ma deve essere collocato in una logica di prevenzione e di educazione. Le scuole chiuse e la scarsità di luoghi aggregativi e ricreativi spingono i ragazzi a frequentare ambienti fatiscenti o abbandonati. Bastano dei lavori di manutenzione sul lungomare a spostare i giovani in luoghi isolati, ideali per agire indisturbati. Eppure i primi ad annunciare, commentare e condividere le proprie gesta illegali sono proprio loro. Lo fanno sui social, dove si organizzano, si sfidano, si minacciano e giocano a fare i teppisti. Il tutto alla luce del web, la loro dimensione ideale, tanto abitata dai minori quanto sottovalutata dal mondo adulto.

E allora cala la scure dello scandalo, fioccano le reprimende e le invocazioni per uno stato di Polizia. Noi che siamo a fianco di questi ragazzi, tutti i giorni, agosto compreso, crediamo che le Forze dell’ordine, tanto più impegnate in un apprezzato sforzo di sensibilizzazione, nelle scuole e sui territori, siano l’ultimo baluardo della legalità. Prima, però, c’è tutto quello che le famiglie e le istituzioni sembrano aver dimenticato: il coraggio di Educare, la forza dell’ascolto e il potere del buon esempio.

Non servono supereroi, né giustizieri della notte. Per costruire alternative alla violenza serve fare pulizia, altro che polizia. Pulizia dei pregiudizi, della noncuranza e del fatalismo che infestano il sistema educativo del Paese. Con la spinta emotiva del Covid e i fondi del PNRR sembrava potersi aprire una nuova stagione per una politica giovanile innovativa, finalmente rispondente ai nuovi bisogni di bambini e ragazzi. Una rivoluzione culturale per rimettere i grandi temi dell’infanzia e dell’adolescenza al centro della comunità. Una ventata d’aria fresca rimasta solo sulla carta delle buone intenzioni, infrante sulle finestre chiuse dei palazzi del potere, dove l’unica pulizia possibile è quella della polvere sotto il tappeto. Tanto, prima o poi, anche quest’estate passerà e la rabbia dei ragazzi, tutta questa energia sprecata, dal degrado delle strade passerà nelle aule delle scuole, con buona pace degli insegnanti.

Il benessere delle nuove generazioni è certamente un valore da tutelare, se necessario anche ricorrendo a strumenti repressivi, ma prima di difendere qualcosa bisognerebbe accertarsi che faccia ancora parte delle nostre priorità.

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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