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Carlo Acutis e Gubajdulina: la difficile libertà dei nostri tempi

Cari amici lettori, la parola “libertà” ha un gran peso nella nostra cultura. Perlomeno dalla Rivoluzione francese – col suo motto “Liberté, égalité, fraternité” – la associamo a una serie di conquiste: in sostanza, libertà da costrizioni esterne e possibilità di autodeterminarsi. Dimentichiamo però che “libertà” fa parte anche del vocabolario cristiano, a partire dalle stesse Scritture.

Cosa significa, allora, libertà cristiana? Nel libro uscito a inizio marzo, Nostro figlio Carlo Acutis. La scuola di fede del santo di internet (Rizzoli), prende per la prima volta la parola il papà del beato, il signor Andrea Acutis. E nel capitolo intitolato «Obbediente, eppure libero e vivace», riflette proprio sul tema della libertà. Per un giovane, libertà è desiderare di “affrancarsi” dall’autorità, si affermano una serie di desideri… Come ha vissuto Carlo Acutis questa libertà? «Usava tutte le cose buone di questo mondo, ma il mondo non era il suo tesoro. Ecco, questo è il problema: che siamo troppo abituati a cercare tesori dove non ci sono. E la libertà dalle costrizioni materiali è uno di questi falsi tesori». Poi papà Andrea aggiunge: «Esiste una libertà che in quanto immateriale non può essere soggetta a costrizioni da parte di nessuno: la libertà di desiderare o di amare ciò che vogliamo».

La libertà, insomma, si esercita nella scelta se seguire “falsi tesori” o dire a Dio «un sì detto con sempre maggiore amore, decisione e fermezza», che comporta di conseguenza  «un no a tutto ciò che si oppone al raggiungimento del nostro tesoro in Cielo»

. Il beato Carlo Acutis ha saputo esercitare questa libertà, con la scelta di mettere Dio al primo posto e di mettere in pratica il comandamento dell’amore. In un’atmosfera culturale che ci ha educati ad assecondare ogni desiderio, questa libertà è un esercizio arduo. A pensarci bene, è la quintessenza del cammino quaresimale. Un’altra figura che ci ricorda un aspetto della libertà è la compositrice russa Sofija Gubajdulina, scomparsa a 93 anni lo scorso 13 marzo. Convertita al cristianesimo a 30 anni, era una donna profondamente religiosa, cosa che nell’epoca sovietica comportava il caro prezzo dell’emarginazione professionale.

La musica di Gubajdulina era sulla lista nera delle autorità sovietiche, circolava clandestinamente e addirittura veniva eseguita all’estero senza che lei lo sapesse. «Bisogna innanzitutto essere fedeli a se stessi», diceva un altro grande compositore amico di Sofija e inviso al regime comunista, Shostakovich. La libertà interiore di Gubajdulina non dipendeva dalle circostanze esteriori. In questo aveva appreso la lezione della sua maestra, Maria Judina, una grande pianista, ebrea convertita al cristianesimo, “spirito libero” e coriaceo come pochi altri. A Stalin, che l’aveva ricompensata con una cifra da capogiro per aver registrato un disco (su ordine del dittatore stesso, che lo voleva), ecco la risposta data da Maria: «La ringrazio per il suo aiuto. Pregherò giorno e notte per Lei e chiederò al Signore che perdoni i Suoi gravi peccati contro il popolo. Dio è misericordioso, la perdonerà. I soldi li devolverò per i restauri della chiesa in cui vado». Libertà anche dal desiderio di “conservare” la propria vita. Stalin non le torse un capello.





Dal sito Famiglia Cristiana

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