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Canzoni e polemiche: il difficile banco di prova di Carlo Conti

di Giorgio Simonelli

«Comunque vada sarà un successo» diceva Piero Chiambretti proprio a Sanremo. La cosa dovrebbe rassicurare Carlo Conti, ma non è detto… Il bravo presentatore (nessuna ironia alla Arbore nella definizione) ha una bella gatta da pelare e, anche se si è sempre rivelato assai abile in queste situazioni un po’ complicate, non mancano i problemi.

Il primo è quello dell’audience. Amadeus ha fatto ascolti stratosferici l’anno scorso e il suo mancato rinnovo ha lasciato qualche dubbio e qualche sospetto (uno anche piuttosto credibile). Non replicare quel risultato, cosa che sarebbe anche fisiologica, aprirebbe inevitabilmente le porte a una polemica politica sulle scelte dei nuovi dirigenti della Rai. La questione è del tutto assurda, ma se si comincia a descrivere Amadeus come il nuovo Antonio Gramsci, teorico e organizzatore dell’egemonia culturale della sinistra, e si parla di Sanremo come di un bivacco di estremisti (come ha fatto Vannacci), è inevitabile che a una sciocchezza ne segua un’altra.

Per ora, stando alle dichiarazioni di intenti, le linee che Conti ha promesso di seguire sono condivisibili: serate più brevi (ma come farà con tante canzoni in gara non si capisce) e soprattutto abolizione o quasi dei monologhi degli ospiti. Personalmente ho sempre pensato che chi va a un festival della canzone, invece di ammannirci il racconto della sua vita intriso di retorica (vedi Leotta o Palombelli in recenti edizioni), dovrebbe giocare con qualcosa di musicale. Poi, come si può fare questo con Gerry Scotti o Antonella Clerici, io non lo so, ma gli autori sono lì per questo.

L’altro tema che già è affiorato con una certa insistenza è quello dei testi delle canzoni, che privilegerebbero temi sentimentali a dispetto di quelli sociali che si erano affermati nel clima creato da quel noto trotskista di Amadeus. Anzi, forse possiamo togliere il condizionale, visto che su La Stampa è apparsa un’incontestabile cloud che mostra come le parole più diffuse quest’anno siano «amore», «io», mentre «cuore» si propone nella sua versione diminutivo-vezzeggiativa «cuoricini».

Ma ogni volta che si affronta questo problema della supremazia del personale sul politico nelle canzoni, non si può fare a meno di tornare a quello che sul tema ci ha detto un profondo conoscitore dell’animo umano come Truffaut. Ricordate La signora della porta accanto? Quando Mathilde, Fanny Ardant, travolta dalle pene d’amore, tenta il suicidio e viene ricoverata in clinica, Bernard, Depardieu, la va a trovare e, vedendo una radio sul comodino, se ne compiace: vedo che stai meglio, ti tieni informata. «No» – gli risponde l’amata – «ascolto solo canzoni, perché le canzoni dicono la verità, dicono “sei il mio amore”, “non posso vivere senza di te” e questa è la sola verità».

Ecco, speriamo che anche le canzoni di Sanremo siano capaci di fare questo, che le loro parole più diffuse – amore, vita, occhi, sempre, battito e cuoricini – siano vere.





Dal sito Famiglia Cristiana

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