In una dichiarazione sulle pratiche di accoglienza dei rifugiati e sulla loro inclusione nei sistemi nazionali, l’osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, arcivescovo Gabriele Caccia, sollecita politiche e strategie che vietino «espulsioni arbitrarie e collettive», assicurando l’accesso a un alloggio «adeguato» e all’assistenza sanitaria e garantendo la libertà di religione. Una particolare attenzione, sottolinea inoltre, va riservata all’educazione e all’occupazione
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Promuovere all’interno dei sistemi nazionali politiche volte a «proteggere il diritto dei rifugiati al non respingimento», attraverso una «efficace» registrazione delle nascite o una documentazione «completa», vietando inoltre «espulsioni arbitrarie e collettive», assicurando l’accesso a un alloggio «adeguato» nonché all’assistenza sanitaria e garantendo la libertà di religione. Questi alcuni degli elementi di “buone pratiche” per proteggere i diritti umani fondamentali dei rifugiati indicate dall’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, in una dichiarazione resa ieri a New York al Consiglio economico e sociale sugli sfollamenti forzati e sulla protezione delle persone costrette ad abbandonare la loro patria a causa di guerre, insicurezze, povertà, conseguenze dei cambiamenti climatici.
A vantaggio delle comunità ospitanti
Negli ultimi anni, ha constatato il nunzio apostolico, sono stati compiuti progressi «significativi» in materia, ad esempio con l’adozione del Patto globale sui rifugiati nel 2018. Richiamando il rispetto della dignità umana di ogni persona, l’arcivescovo Caccia ha comunque voluto sottolineare come la salvaguardia dei diritti dei rifugiati vada anche «a vantaggio» della comunità ospitante. Ciò avviene quando l’istruzione e l’occupazione sono rese più «accessibili» ai rifugiati, dando loro l’opportunità di contribuire all’economia e di ridurre le tensioni sociali. A tal proposito, ha aggiunto, è «fondamentale» promuovere «una narrativa positiva nei confronti dei rifugiati» in modo da favorire uno spirito di fraternità umana, evitando che l’arrivo di persone sfollate possa «suscitare apprensione e paura, spesso sfruttate a fini politici».