Il 2 aprile nel mondo si promuove la sensibilizzazione verso chi è affetto da disturbi dello spettro autistico. Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, presenta un nuovo progetto di inclusione: “Serve una rivoluzione culturale. L’obiettivo è quello di mettere al centro la persona, non come oggetto, ma come soggetto”
Gianmarco Murroni e Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Il futuro delle persone con disabilità non è scritto nei manuali clinici, ma nella possibilità concreta di progettare, assieme a loro, una vita vera, autonoma e soprattutto libera. Questo futuro sta iniziando a prendere forma nella città francescana per eccellenza: “Una vita indipendente è un diritto, non una possibilità”. Lo afferma Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, ente ecclesiastico che promuove attività riabilitativa, psicoeducativa e assistenza socio-sanitaria per bambini e giovani adulti con disabilità fisiche, psichiche e sensoriali. Il ‘Progetto di Vita Indipendente’ rappresenta una strada che ripercorre il solco lasciato dalle Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità per i disturbi dello spettro autistico e dalla Legge 227/21 – la cosiddetta ‘Legge Delega sulla Disabilità’ culminata nella Legge 62/2024 – che hanno aperto una via chiara: costruire intorno alla persona, non intorno alla patologia.
Rivoluzione culturale
“Si tratta – spiega Di Maolo – di una rivoluzione culturale. L’obiettivo è quello di mettere al centro la persona, non come oggetto, ma come soggetto che deve essere aiutato nel realizzare quello che è il suo progetto di vita”. I maggiori problemi, per il presidente dell’Istituto Serafico, sono proprio culturali: “Abbiamo bisogno di partire dalla consapevolezza e da una opinione pubblica che conosca e accetti pienamente tutte le persone. Dobbiamo progettare in modo universale una società e un mondo in cui tutti possano realmente esprimere se stessi ed esercitare i propri diritti”. Ma quando parliamo di indipendenza, non dobbiamo pensare a una persona che vive in solitudine, ma a un soggetto “capace di autodeterminarsi. La prima cosa è stabilire un codice di comunicazione, trovare un linguaggio alternativo e dentro quel linguaggio ascoltare la persona e le sue aspirazioni”.
Problemi sociali
I problemi culturali innescano, poi, situazioni di disagio a livello relazionale e sociale. È quanto sostiene Benedetta Demartis, vicepresidente dell’Associazione Nazionale Genitori perSone con Autismo: “Le maggiori difficoltà di inclusione si registrano in tutti i contesti della vita, ma la parte più difficile arriva alla fine della scuola, quando per questi ragazzi non c’è nulla e le famiglie si ritrovano con un figlio giovane, pieno di energia, ma che non ha amici. È nel passaggio al mondo degli adulti che avviene la parte più complicata, per le persone autistiche e per le loro famiglie”. L’associazione ha raggiunto tanti traguardi, a partire dalle linee guida e di indirizzo che le regioni italiane hanno recepito, ma l’applicazione di queste normative non sempre è attuata. “I servizi sono presenti a macchia di leopardo. Per le famiglie – sottolinea Demartis – è veramente una corsa a ostacoli capire quali siano gli uffici e i referenti a cui rivolgersi. L’applicazione della normativa è la sfida più difficile”.
Interesse costante
E riguardo la Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, che ricorre ogni anno il 2 aprile, la vicepresidente dell’Angsa sottolinea come sia “importante accendere un faro su questo problema, ma è ancora più importante che non si perda l’interesse negli altri giorni dell’anno. I supporti dovrebbero essere calibrati a seconda della gravità di questa condizione, ma ognuna di queste persone avrebbe bisogno di un progetto individuale. Questo è difficile da ottenere perché manca una formazione specifica nel mondo della scuola, nel mondo della sanità, nel mondo del sociale”.