Quando appare sullo schermo, seduto alla scrivania del suo studio nell’abbazia di Münsterschwarzach, in Baviera, mi sembra un po’ Gandalf del Signore degli anelli: i capelli e la lunga barba bianchi, il sorriso mite e benevolo, il tono pacato e accogliente che ti mette subito a tuo agio. Parliamo di Anselm Grün, 80 anni compiuti a gennaio, monaco benedettino e uno degli autori spirituali più conosciuti e letti, con oltre 300 titoli tradotti in più di 30 lingue. Eppure, si schermisce il monaco, «non considero i miei libri come dei “manuali”, perché i consiglieri spirituali pretendono di sapere un po’ tutto». Si vede piuttosto come uno che «semplicemente descrive la vita e cerca di aiutare le persone a connettersi con la sapienza della loro anima». Insomma, non propone una spiritualità dell’«uno, due, tre e tutto si risolve». In occasione dell’uscita di 8 suoi volumi tra i più significativi, allegati a Credere a partire dal prossimo numero, ci ha concesso una lunga chiacchierata, in cui va subito al cuore di ogni domanda.
Lei è monaco, la sua vita è scandita fondamentalmente dall’ora et labora benedettino, ma lei si occupa anche e molto di lavoro pastorale. Come ci è arrivato?
«Mi sono sempre sentito pastore di anime. Da giovane monaco l’abate ha voluto che fossi il cellerario (colui che amministra i beni della comunità, ndr.) e studiassi economia aziendale. Ma ho sempre fatto anche pastorale, ad esempio con i giovani, che allora venivano numerosi per il corso di preparazione alla Pasqua. Ma poiché mi occupavo di amministrazione, mi fu chiesto anche di fare qualcosa per le imprese: da allora tengo corsi anche per le aziende e per i dirigenti. Ma la mia passione è la pastorale. Anche i miei libri nascono spesso dalle domande della gente che incontro».
Lei ha scritto molti libri di successo, predica, tiene conferenze, parla con tante persone. Come riesce ad avvicinare le persone al cristianesimo?
«Il primo passo per me è anzitutto ascoltare le loro domande: cerco di capire quali sono le loro richieste, i loro desideri profondi. Poi è importante dare una risposta a partire dalla tradizione cristiana, in un linguaggio che le persone possano capire. Cerco di non fare il moralista: per me la fede ha una dimensione terapeutica. Concetti come risurrezione, Gesù Figlio di Dio, redenzione, vita eterna dovrebbero essere annunciati in modo tale che le persone li sentano come un aiuto per la vita. Sono realtà che corrispondono al nostro desiderio più profondo. Mi ispiro molto alla psicologia di C.G. Jung: come psicologo, diceva, non posso dimostrare la vita dopo la morte, ma conosco la sapienza dell’anima. Ecco, cerco di far capire che il messaggio cristiano corrisponde alla sapienza dell’anima, ad esempio che la risurrezione corrisponde al nostro desiderio che non tutto finisca con la morte». [….]
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