È considerato una leggenda del pianoforte: András Schiff, classe 1953, ungherese nato a Budapest (ma da quando Orbán è al potere non torna più in patria), è uno dei più grandi musicisti viventi.
Il 5 dicembre sale per la prima volta sul palco del Teatro dell’Aquila, protagonista della Stagione de Il Circolo di Ave, una società di concerti voluta dalla mecenate Anna Danielli. Il programma? A sorpresa, secondo una delle sue originalissime idee che mira a costruire un percorso fra le musiche che suona. A Milano, alla Società del Quartetto il 2 ha invece offerto la sua visione di uno dei più grandi capolavori della storia della Musica: l’Arte della Fuga di Johan Sebastian Bach, del quale è considerato sommo specialista.
Per le sue scelte, per la profondità del suo pensiero, lei maestro András Schiff, è da molti definito un “Filosofo della musica”. Si ritrova in questa definizione?
“Per me questo è un complimento”.
Tutti notano che lei spesso sorride durante le esecuzioni. Cosa prova nel suonare per il pubblico?
“Suonare in pubblico è veramente una gioia. Non è sempre semplice, ma vale la pena. La musica è un tesoro che vogliamo condividere con gli altri”.
Lei è nato in Ungheria, è cittadino britannico ed è stato nominato “Sir”, ma si definisce “europeo” di cittadinanza: cosa significa, o cosa dovrebbe significare, oggi essere un europeo?
“Sono orgoglioso di essere europeo. Il nostro continente è così ricco di cultura, di storia. Anche se esistono molte diversità. Perfino in Italia, ogni regione, ogni città è differente. In un Paese come gli Stati Uniti tutto è simile e uguale. Per cui per me la Comunità europea ha soprattutto il significato di un’associazione culturale, non militare e non solo commerciale”.
Un altro aspetto della sua attività è l’insegnamento. Lei non crede alla validità e al valore dei Concorsi, ma mostra un amore, un attaccamento profondi verso gli allievi. Che percorso condivide con loro?
“È vero, non amo i concorsi per niente, perché l’arte non è uno sport. Non è misurabile. Ai miei allievi cerco di far capire la necessità della cultura generale. Quando un musicista studia una sonata di Beethoven, deve conoscere anche le altre 31. E poi deve conoscere le sinfonie, i quartetti, il Fidelio, la Missa Solemnis. Ma anche Haydn, Mozart, Schubert. E infine la letteratura, l’arte dell’epoca, la scienza, la filosofia: tutto è correlato”.
A Milano, alla Società del Quartetto, ha condiviso palco e applausi con Schaghajegh Nosrati, una delle sue allieve: con lei ha eseguito gli ultimi due numeri di L’arte della fuga, capolavoro che Bach non ha terminato e che non porta indicazioni di strumenti.
“Bach voleva scrivere una fuga con quattro soggetti ma dopo il terzo – che riporta con le note il suo nome BACH – il Maestro è deceduto. Già prima di quel momento si avverte la vicinanza della morte, e la musica diventa mistica e misteriosa”.
E per lei completarla sarebbe come dare un colpo di scalpello alla Pietà Rondanini di Michelangelo…
“Sì, sarebbe un colpo mortale. La analogia con Michelangelo è giustificata: per la Pietà, ma anche per i Prigioni della Accademia di Firenze. Lasciamo i frammenti in pace e usiamo la nostra fantasia per immaginare come potrebbe essere”.
Lei ha raccontato di suonare Bach ogni mattina per mezz’ora sin da quando aveva 16 anni. E che per lei Bach “rimane l’alfa e l’omega”. In Bach sacro e profano convivono?
“Le due dimensioni non sono separabili. Per me l’Arte della Fuga è una opera sacra. Tanti preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato potrebbero essere parte di una Passione. Invece, alcune delle arie delle Passioni sono danze, minuetti, allemande, bourreés”.
Lei ricordava pure in un’intervista che Bach ha scritto musica per il popolo e per i bambini: è un ulteriore prova della sua grandezza?
“Bach era un uomo molto religioso. Ma ha trovato la sua libertà. Un uomo molto modesto, umile. Senza nessun egoismo. Ha scritto per la comunità, non per la sua immortalità. Ogni seconda domenica una nuova Cantata per la gente. Ha ricevuto un certo talento da Dio e questo era il suo modo per sdebitarsi. La semplicità è un grande virtù”.
Lei, tifoso di calcio di una squadra inglese, ama molto l’Italia, è legato a Firenze dove ha una casa, e ad altre città nelle quali suona e organizza stagioni.
“Sono molto fortunato di poter vivere in Italia, il più bel Paese del mondo! E Firenze è il cuore d’Italia”.
Un’ultima considerazione, da filosofo della Musica. L’ascolto della grande musica, e di Bach sopra ogni altro, ci permette oggi di scoprire il grande valore del silenzio interiore, della riflessione, della contemplazione?
“Sicuramente. Il nostro mondo è così rumoroso. Trovare un luogo silenzioso è quasi impossibile. Mi sembra che la gente abbia paura del silenzio, ed è un vero peccato”.