A più di un mese dalla chiusura a Kabul dell’emittente che aveva fatto dell’emancipazione culturale femminile il suo principale obiettivo, nel Paese asiatico cresce la preoccupazione. Mathilde Avice, di Radio Begum: “Il nostro è un progetto militante, concepito per le donne da donne che credono che l’ignoranza sia la principale fonte della loro oppressione”
Federico Piana- Città del Vaticano
La fine del sogno ha una data precisa, che rimarrà scolpita nei libri di storia: 4 febbraio 2025. Che poi rappresenta anche l’inizio di un incubo, doloroso: quello che ha preso forma nel complesso di Radio Begum, a Kabul, capitale di un Afghanistan dominato dai talebani che senza neanche troppi complimenti stanno imponendo la loro visione fondamentalista dell’islam e del mondo col pugno di ferro.
Messi a tacere
Quel martedì nessuno si sarebbe mai immaginato che i famigerati agenti della Direzione generale dell’intelligence facessero irruzione nella struttura che ospita anche gli studi di un’altra emittente, Radio Jawanan, comunemente conosciuta come Yuoth Fm, radio gioventù.
Sequestri ed arresti
Sotto l’occhio vigile ed attento di solerti funzionari del ministero dell’informazione e della cultura, la polizia segreta del regime non ha esitato a rimuovere e prelevare gli hard disk dei computer di tutto il personale e sequestrare i telefoni cellulari delle giornaliste costringendole a rilevare le proprie password d’accesso. Poi l’incubo si è trasformato in tragedia quando le trasmissioni di entrambe le emittenti sono state sospese e due membri dello staff sono stati arrestati ed i locali completamente sigillati.
Accuse generiche
«Non appena gli agenti hanno lasciato gli uffici, il ministero ha emesso un comunicato in cui si accusa Radio Begum di “molteplici reati” e di “fornire materiali e programmi a un’emittente televisiva con sede all’estero” ». A parlare, per la prima volta dopo i fatti, è Mathilde Avice, assistente dei programmi per l’Afghanistan di Radio Begum. In una conversazione con i media vaticani fa capire che le accuse mosse dalle autorità sono talmente generiche da nascondere a malapena la verità: Radio Begum è stata messa a tacere perché era diventata la voce delle donne. Un grido profetico e scomodo che ha preso vita simbolicamente proprio durante la festa delle donne dell’8 marzo 2021 dalla Begum organization for women, un’organizzazione non governativa fondata un anno prima per volontà dell’imprenditrice mediatica afghana Hamida Aman con l’obiettivo di difendere e sostenere ogni donna della nazione asiatica, senza esclusione di cultura e ceto sociale.
Netta linea editoriale
«Radio Begum — dice orgogliosa Mathilde Avice — è un progetto militante, concepito per le donne da donne che credono che l’ignoranza sia la principale fonte della loro oppressione. La sua linea editoriale è chiara: informare, educare e dare potere alle donne afghane. Tutti i suoi programmi sono autoprodotti sia in lingua Dari che in lingua Pashto da un team esclusivamente femminile ed afgano».
Nessuna tolleranza
Chiaro che un’agenda politica e culturale di questo tipo non poteva far dormire sonni tranquilli a chi nel Paese ha proibito a tutte le donne di lavorare in gran parte dell’amministrazione pubblica, ha vietato loro di frequentare la scuola secondaria e superiore, ha impedito che possano viaggiare oltre i 72 km senza essere accompagnate da un uomo e di apparire in pubblico senza un accompagnatore maschio. Tollerare una radio che trasmetteva 24 ore su 24, 7 giorni su 7, affrontando le tematiche tabù della società afghana come l’uguaglianza di genere, la violenza domestica e i matrimoni forzati, sarebbe stato impossibile per i talebani.
Trattative difficili
«Dopo tre settimane di trattative per trovare una via d’uscita a questa crisi, alla fine abbiamo raggiunto un’intesa con il ministero dell’informazione e della cultura. Abbiamo firmato una lettera d’intenti con la quale ci siamo impegnati a rispettare la legge afghana sui media e a non produrre contenuti per media stranieri. Ma, nonostante ciò, i nostri uffici rimangono sigillati e i nostri due colleghi trattenuti, anche se sappiamo che stanno bene».
Nessuna resa
L’organizzazione non governativa Begum con sede principale a Parigi, che oltre all’emittente afgana gestisce anche una tv e un’accademia online per l’istruzione femminile, però non è certamente intenzionata a gettare la spugna: «Abbiamo ancora la forte determinazione di difendere i diritti, le libertà e la dignità delle donne afghane ed è probabile che il nostro team continuerà a sostenere l’istruzione delle ragazze e l’emancipazione delle donne facendo sentire la propria voce in tutto l’Afghanistan e all’estero in modo che il mondo si ricordi del crudele destino delle nostre sorelle che vivono in questa nazione».
Nuovi colpi di scena
Una sfida non facile che rischia di prevedere ulteriori colpi di scena. Come quello, molto recente, che riguarda un altro attivista per l’istruzione femminile arrestato nei giorni scorsi dalla polizia segreta e condotto in un luogo sconosciuto solo perché aveva osato prendersi a cuore l’istruzione delle bambine con una scuola itinerante che aveva toccato le periferie più inaccessibili. Quel Wazir Khan, fondatore dell’associazione no profit Today Child, per il quale Amnesty International ha in queste ore chiesto l’immediato rilascio ma del quale purtroppo non si sa più nulla. Facendo rimanere col fiato sospeso l’intera comunità internazionale.