Perché gli uomini non possono vive re senza il romanzo?
«Perché non sono contenti della loro vita. L’uomo ha bisogno di una vita più ricca, complessa, emozionante di quella che ha. La distanza tra la vita vissuta e la vita sognata è occupata dall’immaginazione. E il romanzo è l’espressione scritta dell’immaginazione: per questo è una necessità vitale».
Parlare di letteratura con Mario Vargas Llosa è come salire su una vetta altissima e lasciare andare lo sguardo verso un punto in cui le cose si mostrano nitidamente. La sua parola poggia su fondamenta solide: è fra i più grandi scrittori contemporanei, autore di romanzi ma anche di saggi e testi teatrali, intellettuale che non disdegna l’impegno “politico” (nel 1990 si candidò alle presidenziali in Perù per contrastare, invano, Fujimori), è l’interlocutore ideale per cercare di capire che senso abbia, oggi, scrivere e leggere romanzi.
– Il romanzo è in grado di cambiare la realtà?
«Indirettamente, sì. Quando il lettore torna alla vita reale dal mondo meraviglioso del romanzo, non è più lo stesso: la vita gli appare brutta e povera. Questa insoddisfazione è la scintilla che fa divampare non soltanto l’attitudine critica, ma anche un’energia sovversiva, rivoluzionaria. Ogni struttura di potere dice: la vita è perfetta così com’è. Al lettore il romanzo suggerisce l’opposto: la vita non va bene così com’è. E prospetta un’alternativa».
– In che modo il romanzo moderno influenza l’individuo e l’immaginazione collettiva?
«È una presenza non misurabile, ma certa. Posso citare alcuni casi esemplari: tanti giovani europei si sono suicidati dopo aver letto I dolori del giovani Werher, la pubblicazione di Madame Bovary ha creato in Francia una visione romantica dell’esistenza… Il romanzo mette a fuoco ciò che è confuso nel cuore dell’individuo e nell’atmosfera di un’epoca storica».
– Oggi il romanzo soffre la concorrenza del cinema e della televisione…
«Sì, ma tra l’immagine e la parola scritta c’è una differenza incolmabile: l’immagine è conformista, perché non esige uno sforzo per convertire le parole in immagini, e pertanto risulta più controllabile della letteratura. Il film può essere divertente e originale, ma non sarà mai fonte di inquietudine. La Tv e il cinema mostrano un mondo accettabile. Solo il romanzo chiede quella partecipazione della coscienza che rende la letteratura incontrollabile».
– Quindi lei è ottimista sul futuro del romanzo…
«La domanda che si deve porre chiunque oggi abbia a cuore le sorti del romanzo è: la cultura scritta e l’immagine possono coesistere, o si scatenerà una guerra con un solo vincitore? La mia opinione è che non ci sia nessuna fatlità che incombe sulla sopravvivenza della parola scritta, la cui sorte è affidata alle scelte umane. Se la scritture diventerà marginale, sarà perché noi l’abbiamo voluto o permesso».
– Rispetto al passato le idee circolano più velocemnte e ciò ha prodotto un avvicinamento tra le diverse culture. In che modo questo può riflettersi sul romanzo?
«Sarà meno provinciale, perché l’esperianza umana allarga i suoi orizzonti e abbatte tutte le barriere. Per contro, il romanzo sarà sempre espressione della lingua con cui è scritto. Ecco, la lingua è la patria del romanzo. L’immagine, invece, è internazionale».
– La globalizzazione cambierà anche la forma del romanzo?
«La globalizzazione ci rende tutti contemporanei, ciò che accade in un luogo è proprietà di tutti. Tale situazione non può che facilitare la comunicazione, promuovendo una fecondazione reciproca tre le diverse forme narrative».
– Che cosa si può fare per invogliare i giovani a leggere?
«È una questione politica: se le istituzioni investono sulla lettura, gli insegnanti e le famiglie si appassioneranno al romanzo. Oggi la Tv fagocita i libri, ma non è una situazione immutabile».
– Quali sono i romanzi che Mario Vargas Llosa ha più amato?
«I tre moschettieri e Moby Dick quand’ero bambino, mentre le grandi opere di Tolstoj, Hugo, Proust, Joyce, Kafka e Faulkner hanno generato e forgiato la mia vocazione letteraria».