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Abuso d’ufficio, cos’è, perché fa discutere, perché è stato abolito, che c’entra il decreto carceri

Il 4 luglio 2024 il voto alla Camera ha “cancellato”, dal Codice penale italiano il reato di abuso d’ufficio (art. 323). Prevedeva che: «Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni».


La norma discussa e i rischi delle continue modifiche

La norma, era stata riscritta più volte, negli ultimi 20 anni, l’ultima nel 2020. Le modifiche sono dipese dal fatto che era accusata di essere troppo generica e di instaurare negli amministratori pubblici e in particolare nei sindaci la cosiddetta “paura della firma” o “burocrazia difensiva”, ossia il timore di incappare in un’indagine penale per abusi nell’esercizio delle funzioni, benché fossero largamente maggioritari i casi in cui le medesime indagini finivano in archiviazione.

Come spesso accade, anche in questo caso su una riforma recente, nella fattispecie quella del 2020, se ne sovrascrive un altra senza che alla prima si sia dato il tempo di stabilizzarsi, di verificare se abbia avuto o meno l’efficacia e gli effetti attesi. E anche senza poter valutare se la recente riforma abbia o meno nei fatti superato le difficoltà della norma che la precedeva. Mentre la retroattività della norme penale, se più favorevole al reo, determina situazioni da sanare. 

Pro e contro

  

Chi ha ritenuto di abrogare la norma sull’abuso d’ufficio (maggioranza di Governo + Azione e Italia Viva) sostiene che la modifica del 2020 non fosse ancora sufficientemente tipizzata, ossia che restasse ancora generica, altri, anche in parte concordi nel riconoscerne i difetti, ritenevano che sarebbe stato il caso di scriverla in modo da sanzionare condotte più precise anziché abolirla definitivamente creando un vuoto normativo.


Le complicazioni dell’abolizione


Nel mondo del diritto l’abuso d’ufficio ha suscitato per anni un ampio dibattito, ma a far discutere era soprattutto la qualità di scrittura della norma, il bisogno di meglio definirla per evitare indagini inutili a intasare la giustizia e a complicare la reputazione di chi vi incappava, nella consapevolezza che l’abolizione totale avrebbe potuto creare delle complicazioni: nella tutela del cittadino, lasciato scoperto e privo di tutela rispetto all’abuso o all’omissione del pubblico amministratore e nella tutela della Pubblica amministrazione che avrebbe potuto uscire danneggiata dall’amministratore disonesto. Ma anche  nella possibilità di lasciare senza uno scudo “penale” sotto cui ripararsi l’amministratore esposto a pressioni e intimidazioni in contesti mafiosi.

Le osservazioni dell’Anac

  

Dell’avviso di una migliore definizione sia in tema di abuso d’ufficio, sia di traffico di influenze, andavano certamente le osservazioni inviate al Parlamento dall’Autorità Nazionale anticorruzione (Anac) che condividevano: «l’obiettivo di addivenire ad una determinazione ancora più rigorosa e puntuale della fattispecie di cui all’art. 323 c.p. e del suo ambito applicativo, evitando tuttavia effetti formalmente o sostanzialmente abrogativi. Un eventuale intervento legislativo volto ad una migliore definizione della fattispecie consentirebbe, infatti, di introdurre nell’ordinamento le debite garanzie contro il rischio di una eccessiva estensione del sindacato penale sull’azione dei funzionari pubblici – al di fuori delle ipotesi di reato previste e disciplinate da altre norme di legge, rispetto alle quali l’art. 323 c.p. presenta un carattere residuale – permettendo al tempo stesso di assicurare la perseguibilità anche in sede penale di quelle condotte lesive dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione non coperte da altre previsioni di legge». Anac, attraverso il suo attuale presidente Busìa sosteneva le proprie tesi, con tre argomentazioni a contrarie alla cancellazione tout court del reato: 1) La necessità, nel valutare le statistiche di archiviazione, di tenere conto dei cambiamenti intervenuti di recente: il numero elevato delle archiviazioni relative a indagini iniziate con la legge precedente, è dovuto anche al fatto che la norma precedente era più restrittiva, prima del 2020 si andava a giudizio per condotte che dopo non erano più punite. Mentre intanto la riforma Cartabia (2022) chiede che il Gip, su tutti i reati, mandi a giudizio solo se c’è una prognosi di condanna, quindi in generale: meno casi di rinvio a giudizio, rispetto alla normativa precedente. 2) Il rischio che l’abrogazione «si ponga in contrasto con le previsioni europee, ed in particolare con il richiamato articolo 12 della Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa del 1999 (La cosiddetta convenzione di Merida ndr.)» mentre l’articolo 11 della Direttiva europea proposta il 3 maggio 2023 e approvata il 14 giugno 2024 che nella proposta imponeva la penalizzazione dell’abuso d’ufficio ora lascia ai singoli la «facoltà di introdurre o eliminare il reato di abuso di ufficio». 3) Il fatto che l’abuso d’ufficio e il traffico di influenze rappresentano spesso un reato-spia di più gravi reati nella sfera della corruzione.

 


Potenziali effetti paradossali


Tra gli argomenti ricorrenti a favore di una rimodulazione, anziché della cancellazione da una parte c’era il rischio di un “effetto paradossale”, ossia che in caso di abuso, in mancanza di un reato specifico adatto a sanzionare quel comportamento, se ne possa contestare uno più grave, dall’altra l’eventualità di mandare impunito comportamenti in cui l’amministratore pubblico sfrutta a fini privati o in danno di qualcuno la propria funzione, mandando nel contempo un messaggio di impunità al Paese e uno di scarsa tutela agli investitori stranieri.

L’abuso rientra dalla finestra? Lo strano caso del “Decreto carceri”

  

Caso “strano” vuole che mentre con la mano destra si è cancellato l’abuso d’ufficio con la sinistra, nelle stesse ore si è fatto rientrare dalla finestra del testo del Decreto legge del 4 luglio 2024 recante «Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia», n. 92 in vigore dal 5 luglio 2024, un “nuovo” reato che esisteva nel codice qualche decina di anni fa con il nome di “peculato per distrazione”, oggi denominato «Indebita destinazione di denaro o cose mobili», dove “distrazione” non era intesa ovviamente nel significato comune di “disattenzione”, ma in quello etimologico di “deviazione” di denari o beni che a disposizione per ragioni di ufficio vengano utilizzati per fini impropri. Si trova all’articolo 9 del decreto sotto il titolo generico di modifiche al Codice penale, in cui si legge: «Al codice penale dopo l’articolo 314 (peculato ndr.) è inserito il seguente: “Fuori dei casi previsti dall’articolo 314, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”». Di questa modifica il comunicato del 3 luglio che annunciava il Decreto carceri non faceva menzione.

Questo modo di legiferare, caratterizzato dalla disorganicità che di solito si rimprovera al cosiddetto “milleproroghe” o ai “decreti omnibus” che affastellano insieme norme su argomenti molto diversi tra loro, suscita critiche per la sua apparente contraddittorietà con la norma appena abrogata, anche se il ministro della Giustizia Carlo Nordio esclude ogni attinenza con l’abuso d’ufficio.

Non è chiaro quale sia la ragione di questa introduzione in un contesto che si occupava di altro: c’è chi vi legge la tardiva presa d’atto della necessità di coprire in parte il “buco” lasciato dall’abuso d’ufficio; chi un effetto della “moral suasion” del Colle; chi il tentativo di di rassicurare l’Ue.





Dal sito Famiglia Cristiana

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