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A Gaza non c’è più il pane, mentre Netanyahu viene accolto da Orban in Ungheria

Nella Striscia di Gaza manca la farina, la gente non ha più il pane. è il tragico allarme lanciato dalle Nazioni unite. Nel martoriato territorio palestinese per la popolazione civile è tornato l’incubo della fame. Da un mese è bloccato l’ingresso agli aiuti umanitari, mentre l’esercito israeliano prosegue con la sua avanzata massiccia. Hamas ha respinto l’ultima proposta israeliana per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani dei miliziani nella Striscia. E la reazione di Israele è stata durissima. Alemno 40 persone sono rimaste uccise nei raid aerei che hanno colpito il centro e il sud della Striscia.

Ad essere colpito è stato anche un ospedale gestito dall’Agenzia dell’Onu per i rifugiati a Jabaliya, dove ci sarebbero state 19 vittime, soprattutto donne e bambini. Lo scorso 23 marzo, come riportato da Medici senza frontiere, le forze israeliane avevano colpito l’ospedale Nasser a Khan Younis, nel sud della Striscia – il più grande ospedale ancora funzionante a Gaza, che fornisce assistenza a persone con gravi ustioni e traumi, neonati e donne incinte – danneggiando gravemente l’edificio e causando diversi feriti. Giorni fa, a seguito dei pesanti attacchi condotti dalle forze israeliane a Gaza, colpendo indiscriminatamente un gran numero di civili, inclusi membri dello staff delle Nazioni unite, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha preso la difficile decisione di ridurre la presenza degli operatori sul campo, nonostante l’emergenza umanitaria sua elevatissima. 

Intanto, il premier israeliano Benjamin Netanyahu è arrivato indisturbato a Budapest, in Ungheria, per incontrare il primo ministro Viktor Orban, che lo ha accolto in barba al mandato di arresto spiccato contro di lui dalla Corte penale internazionale dell’Aja. In una conferenza stampa congiunta, Orban ha annunciato il ritiro dell’Ungheria dalla Cpi. «Sono stato il primo ministro che ha firmato il documento di adesione alla Corte penale internazionale» nel 2001, ha affermato il premier ungherese, aggiungendo però che oggi non si tratta più di un tribunale imparziale, bensì di «un tribunale politico». Da qui, la decisione di ritirare il suo Paese. Una decisione che ha ottenuto, ovviamente, il plauso di Netanyahu, ma alla quale la Corte non ha mancato di rispondere attraverso il portavoce Fadi El Abdallah, che ha ricordato l’obbligo di collaborazione dell’Ungheria con la Cpi. 

Per il premier israeliano si tratta del primo viaggio in Europa da quando la Cpi ha emesso il mandato di arresto internazionale – a  novembre del 2024 – per Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant per crimini di guerra e contro l’umanità. Secondo la Corte, premier e ministro hanno agito in modo consapevole e deliberato – assumendosi una responsabilità personale – per impedire gli aiuti umanitari alla popolazione di Gaza, violando il diritto internazionale umanitario e causando terribile sofferenza ai civili. Mandati di arresto sono stati spiccato dalla Cpi anche contro tre leader di Hamas. Lo scorso febbraio Netanyahu è andato ad incontrare Donald Trump a Washington, negli Stati Uniti, che non hanno mai riconosciuto la Corte penale internazionale (esattamente come Israele, e altri Stati tra i quali Russia, India, Cina e Turchia).

(Foto Reuters: Viktor Orban e Benjamin Netanyahu)





Dal sito Famiglia Cristiana

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