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Iadeluca: «Le mafie nel bresciano? Presenti già dagli anni Settanta»

Non è una novità che la ‘ndrangheta sia presente al Nord e che in Lombardia, in particolare nel bresciano, abbia affondato i suoi interessi. Lo sa bene Fabio Iadeluca, Luogotenente dell’Arma dei carabinieri, sociologo, coordinatore del Dipartimento di Studio e Analisi dei Fenomeni Criminali e Mafiosi della Pontificia Accademia Mariana Internazionale e fresco autore, per Armando Curcio editore, del volume La potenza criminale della ‘ndrangheta.

«Sono anni», racconta, «che la presenza nel bresciano viene attestata da operazioni importanti fatti dalla magistratura e dalle forze dell’ordine che hanno messo in evidenza una progressiva colonizzazione che parte fin dagli Anni Settanta. All’epoca la Commissione parlamentare antimafia sente in audizione il colonnello Bozzi, che era il comandante della Legione Carabinieri di Milano e il colonnello Morelli che era il comandante. della Legione Carabinieri di Brescia e loro mettevano in evidenza che già c’era una ramificazione. Coloro che erano mandati in soggiorno obbligato, finito il periodo, rimanevano in Lombardia cominciando una certa colonizzazione del territorio. Le proiezioni extraregionali della ‘ndrangheta sono state accertate da tempo e oggi questa criminalità è la prima mafia in Italia e in Europa, oltre che tra le più potenti del mondo. È per questo che è importante capire e analizzare bene il fenomeno»

Cosa scopriamo?

«Innanzitutto che da anni, in tantissimi Stati, sia a livello europeo che mondiale, la ‘ndrangheta ha fatto il passaggio da mafia di transito a mafia stanziale. E lo ha fatto seguendo una regola fondamentale e cioè quella degli affari. È nata, come la mafia, in campagna, ma poi ha cominciato a ramificare nelle città e si è proiettata a livello nazionale e sovranazionale. Per questo dobbiamo studiare bene il fenomeno. Ogni giorno lo Stato, grazie ai magistrati, alle forze dell’ordine, compie delle operazioni che sradicano queste organizzazioni, ma stiamo parlando solo della potenza criminale. In realtà il problema delle mafie che hanno oltre 220 anni di storia, non è riconducibile solo a una questione criminale. La chiave di lettura di questi fenomeni è la storia. Per quanto riguarda la ndrangheta, dicevo il passaggio dalla mafia dei campi a quella di città con l’incameramento di introiti illeciti attraverso la cementificazione prima e il traffico di stupefacenti adesso».

A Brescia ha fatto molto scalpore anche il coinvolgimento di una suora. Cosa ne pensa?

«Certo, sono tutti innocenti fino a sentenza definitiva. Questo però ci fa capire che dobbiamo anche comprendere che la ‘ndrangheta, nella sua struttura, contempla una certa religiosità dei mafiosi, per esempio per quanto riguarda l’iniziazione e molto altro. Dobbiamo aspettare l’esito delle indagini. Intanto sono state emesse, dal Gip del Tribunale di Brescia, due ordinanze di custodia cautelare e la direzione distrettuale antimafia bresciana e l’arma dei carabinieri hanno sottolineato il voto di scambio politico, il traffico di stupefacenti, l’usura. Tutte dinamiche che fanno parte di un disegno criminoso ricollegabile a famiglie, a ‘ndrine che sono in Calabria».

Come intervenire?

«In Italia noi abbiamo i migliori magistrati nella lotta alla mafia e i migliori appartenenti alle forze dell’ordine. Abbiamo anche una legislazione antimafia che è un fiore d’occhiello. Se c’è un Paese al mondo che ha il problema mafia e lo vuole risolvere non può non fare riferimento alla nostra legislazione antimafia. Quello che dobbiamo fare è considerare anche l’aspetto sociale. Non possiamo intervenire solo sul piano strettamente criminale. Dobbiamo capire, osservare, avere delle chiavi di lettura»

In questo anche il suo libro dà un importante contributo

«Credo di sì. La prefazione l’ha fatta l’onorevole Rosi Bindi già Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia. C’è il contributo di Nando Dalla Chiesa e poi di tanti magistrati e professori che analizzano il tema della colonizzazione e del come la ‘ndrangheta sia arrivata a essere così potente. Spieghiamo anche l’affidabilità dell’organizzazione con la sua struttura familistica per cui è difficile avere pentiti o collaboratori. Chi collabora deve mettersi contro i genitori, i fratelli, i figli. Una delle novità che mettiamo in rilievo nel volume è quella delle nuove tecnologie. In una intercettazione ambientale due mafiosi discutono di come reclutare nuove persone e uno dei due dice: “Io prima li sceglievo che dovevano saper fare i ‘bang bang’ ora devono saper fare i ‘click click’”. Ovvero bisogna sapersi muovere nel mondo delle nuove tecnologie dove con un click si spostano milioni di euro. Si spara di meno e si guadagna di più corrompendo e affidandosi a queste nuove tecnologie che stanno rivoluzionando il mercato. Su questo dovremmo avere strutture adeguate per prevenire prima e reprimere dopo, considerando che ci sono sistemi di comunicazione sofisticatissimi e difficili da intercettare. Questo è un terreno su cui dobbiamo investire se vogliamo davvero contrastare le mafie».





Dal sito Famiglia Cristiana

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