di Sandro Calvani e Alberto Mattioli
Stiamo forse assumendo la consapevolezza di come l’erosione della verità e della fiducia nella società in cui viviamo sia causata da un flusso travolgente di informazioni; ciò spesso rende difficile distinguere i fatti dalla finzione. Il vero dal falso. L’acceleratissima digitalizzazione sta da tempo interessando anche la sfera politica e gli sconvolgimenti che produce nei processi democratici e nelle nostre vite sono massicci, epocali. Storditi dalla frenesia della comunicazione a ciclo continuo, ci ritroviamo impotenti di fronte a un sistema che trasforma l’essere umano in fonte di dati da estrarre. Il nostro modo di pensare e intervenire nel mondo, il nostro rapporto con la verità stanno inesorabilmente cambiando. Immersi nell’infocrazia, nella quale libertà e sorveglianza coincidono, rischiamo di assistere al tramonto dell’epoca della verità.
Il risultato preoccupante è quindi l’erosione della fiducia del pubblico nelle istituzioni, facilitando la diffusione di disinformazione e propaganda, in ultima analisi minando i processi democratici. Le elezioni negli Usa ne sono la prova più evidente. Questa è l’infocrazia che può essere sfruttata da chi detiene il potere per manipolare l’opinione pubblica e mantenerne il controllo. Ciò può portare all’erosione delle libertà e all’ascesa dell’autoritarismo, un fenomeno evidente nei 25 Paesi democratici che hanno avuto elezioni nel 2023/24.
Allo stesso tempo la “stanchezza sociale” che si esprime nella società del burnout ha conseguenze similari altrettanto evidenti e potremmo dire emorragiche, cioè come vene aperte che fanno perdere il sangue dell’umanesimo solidale ed etico. Vediamo un impegno civico meno vivace, caratterizzato da esaurimento emotivo, cinismo e un senso ridotto di realizzazione personale; fenomeni e percezioni che possono portare al disimpegno dalla vita civica e politica. Questa apatia può indebolire la partecipazione democratica e lasciare più spazio e influenza alle forze illiberali.
I recenti studi di Byung-Chul Han, filosofo cattolico coreano sull’infocrazia (B.C. Han, Infocrazia, Einaudi 2023) e sulla società in burnout (B.C. Han, Società della stanchezza, Nottetempo 2020) hanno illustrato bene come l’intersezione tra questi due fenomeni ponga sfide inedite significative a vari aspetti del benessere globale, soprattutto in Occidente, con un impatto in alcuni casi devastante sulla democrazia, l’imprenditorialità consapevole, la riduzione delle disuguaglianze e, in ultima analisi, la pace nel mondo. Han ha identificato bene il nuovo rischio occidentale di guerra nella testa delle persone, che nasce appunto dall’infocrazia (il vero potere “senza regole”) e dalla stanchezza mentale.
In una società in burnout, la pressione costante per produrre e raggiungere risultati può portare a concentrarsi sui guadagni a breve termine rispetto alla sostenibilità a lungo termine. Ciò può soffocare l’innovazione, ridurre la consapevolezza imprenditoriale e ostacolare lo sviluppo di soluzioni a urgenti problemi sociali e ambientali. Il burnout colpisce in modo sproporzionato coloro che hanno lavori precari o impegnativi, spesso esacerbando le disuguaglianze esistenti. Lo stress e l’esaurimento che ne derivano possono rendere difficile per gli individui uscire dai cicli di povertà ed emarginazione e possono dar adito a espressioni di violenza imprevedibili. Inoltre, un numero troppo grande di persone diventano sia vittime che vittimari, sono schiavi di se stessi, si fanno male da soli.
L’aumento della polarizzazione a livello nazionale ed internazionale, del conflitto, perfino di quello con se stessi, e della disuguaglianza alimentate dall’infocrazia e dal burnout creano un mondo più instabile e meno pacifico. La mancanza di fiducia e cooperazione rende difficile affrontare sfide globali come il cambiamento climatico e la povertà, aumentando il rischio di conflitto e instabilità. Riconoscere e descrivere i rischi gravi dell’infocrazia e della società della stanchezza sono i primi passi per la comprensione delle conseguenze antropologiche della piú grande e invasiva mutazione del vivere umano e di come quindi sia necessaria la liberazione delle menti. Una autocritica del sistema informativo nel suo complesso che abbisogna di mettere a fuoco regole deontologiche per i nuovi canali di diffusione di notizie insieme ad una educazione mediatica capace di ascolto e piu’ diffusa, possono essere utili strumenti e antidoti per progettare e aiutare a costruire una società più pacifica, equa e sostenibile.
(Foto Reuters: barrette di cioccolato in un negozio di New York con i volti di Kamala Harris e Donald Trump)