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Don Pesce: «Francesco parlava la lingua delle famiglie»


Se c’è un fronte, uno dei tanti, in cui papa Francesco è stato rivoluzionario quello di certo è la famiglia. A partire dalle tre parole chiave che con grande semplicità, ma altrettanta efficacia, ci consegnò nell’Udienza generale del 13 maggio 2015 per sostenere l’armonia nelle nostre case: “permesso, grazie e scusa”. «Queste tre parole-chiave della famiglia sono parole semplici» disse in quell’occasione «e forse in un primo momento ci fanno sorridere. Ma quando le dimentichiamo, non c’è più niente da ridere, vero? La nostra educazione, forse, le trascura troppo. Il Signore ci aiuti a rimetterle al giusto posto, nel nostro cuore, nella nostra casa, e anche nella nostra convivenza civile». 

«Le parole sono state centrali nel Pontificato di Francesco» sottolinea don Francesco Pesce, direttore del Centro della Famiglia di Treviso. «Parole quotidiane, che hanno colpito le famiglie e le coppie che incontro ogni giorno. Con la doppia efficacia di essere il linguaggio che tutti comprendono e, allo stesso tempo, di far sentire tutti coinvolti nella vita concreta. È la famiglia reale che interessa a papa Francesco e questo le famiglie l’hanno percepito. Le cose di tutti i giorni diventano rilevanti per la fede, anzi potremmo dire a livello teologico. Penso all’espressione di una signora che, dopo avere letto Amoris Laetitia, mi ha detto “Finalmente!”. Cioè, finalmente qualcuno ha capito quello che a noi interessa, finalmente c’è spazio per il quotidiano e le situazioni concrete delle famiglie».

“Da permesso, grazie, scusa” all’esortazione apostolica Amoris Laetitia dove l’idea di fondo che spariglia le carte è di non sostituirsi alle coscienze, ma di formare le coscienze. Dove il matrimonio non diventa “un patto” da rispettare solo perché l’hai giurato davanti a Dio, ma una promessa da alimentare ogni giorno.
«Tanto che in Amoris Laetitia dice che il matrimonio come segno implica un processo dinamico che avanza gradualmente. È un cammino di permanente crescita. Credo sia anche questa la rivoluzione di Amoris Laetitia, cioè di tradurre “quel tempo superiore allo spazio” a livello di relazioni familiari e di vita familiare, cioè la gradualità nei passaggi, la possibilità di fare un passo in più. La possibilità di camminare ancora dentro la propria situazione, di crescere. Tante volte A.M. utilizza il verbo crescere. L’altra parola che torna è imperfezione, cioè le famiglie perfette non esistono. L’amore convive con l’imperfezione, se l’amore del mio coniuge è imperfetto non significa che non sia reale, che non sia vero. No, mi ama come può. In cammino, in crescita. Credo che questo sia un cambio di prospettiva decisivo. L’amore è imperfetto non perché non siamo bravi, ma perché l’amore ha bisogno di tempo per crescere. Un tema legato alla coscienza perché poi si tratta di fare i conti con la parzialità della vita, non con la perfezione o l’idealismo».

Una promessa che affronta le fatiche di tutti i giorni…
«È mettersi davanti a quella promessa con le fatiche di tutti i giorni. È vedere come il Signore è presente dentro al quotidiano e a questa fatica, visto che è già all’opera».

Tra le novità di Francesco anche l’istituzione della «Giornata mondiale dei nonni e degli anziani.
«Che non sono uno scarto. In una delle catechesi sugli anziani dice che sono quei pezzi avanzati, quelle 12 ceste piene di pezzi avanzati… di buon pane però! Considerando nonni e anziani parte integrante della vita e della fede. Dal canto mio io dico: sono quelli che hanno combattuto la buona battaglia e hanno conservato la fede. Mi incuriosisce come prete, come credente capire come credano ancora. Come mai partecipino ancora alla vita comunitaria».

L’altro soggetto della famiglia di cui si parla meno rispetto agli sposi sono i bambini. Anche per loro ha voluto una giornata mondiale dedicata.
«Penso al suo modo di fare, al suo stile. Ai bimbi che andavano ad abbracciarlo e gli dicevano parole all’orecchio… Quanta bellezza».

Don Francesco Pesce


Don Francesco Pesce



L’ultima rivoluzione è stata Fiducia Supplicans sempre in uno sguardo globale di misericordia.
«Da inquadrare nell’orizzonte più ampio che già con Amoris Letizia viene fuori: integrare tutti. Bellissima quell’immagine di Gesù che è pastore di cento pecore, non di 99, quindi Lui le vuole tutte. Mi sembra molto bello questo sguardo di una Chiesa non come dogana, ma come casa aperta, come famiglia aperta, dove c’è spazio per tutti. Qui credo che la vita familiare sia molto istruttiva, la Chiesa può imparare dalla vita familiare. Come dice papa Francesco, a casa non è festa quando manca qualcuno o comunque la festa è sempre amara, quando c’è un posto vuoto a tavola è sempre triste. Quindi, in tutte le relazioni che viviamo si può camminare, si può crescere anche se non rispettano l’ideale proposto. Sono situazioni parziali in cui possiamo camminare, crescere nell’amore e nella vita di fede».

Il messaggio che più l’ha colpita?
«Che le famiglie non sono un problema. Non sono un problema per le parrocchie, né per i preti. Non dobbiamo fare qualcosa per le famiglie, ma dobbiamo guardarle come protagoniste e quindi, semmai, offrire supporto perché stiano in piedi e facciano la loro missione. Ecco, questo mi sembra molto bello. Aggiungo un’altra cosa».

Prego.
«Ascoltando le famiglie, tante famiglie, coppie in questo periodo, in questi giorni, c’è un po’ di tristezza. Qualcuno ha detto: “Ci sentiamo come i discepoli di Emmaus”. Cioè, manca qualcuno d’importante. È come se improvvisamente a tavola mancasse qualcuno e questo dice proprio la familiarità con cui papa Francesco è entrato nella vita di tante persone e di tante famiglie. Davvero come uno di casa».

Foto Vatican Media/Ansa

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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