Un funerale omnibus. Poveri e potenti. Ultimi e primi. Protocollo rigoroso e pic-nic improvvisati sul selciato. Bandiere e preghiere. Malori, sacchi a pelo e sorrisi. All’alba, quando ancora è buio e nei cieli di Roma volteggiano solo gli elicotteri e gli unici bar aperti fuori dal colonnato sono quelli dei cinesi, la piazza è deserta. I primi pellegrini arrivano correndo per accaparrarsi i posti più avanti, possibilmente seduti.
L’aria è fredda, quasi un colpo di coda dell’inverno. Poi fa capolino il sole che riscalda Roma, tornata, per un giorno, la capitale del mondo, com’era stata ai tempi dell’Impero romano, ma anche quando divenne cristiana, ponendo così le basi della civiltà occidentale.
C’è un mendicante che oggi non fa l’elemosina ma distribuisce caramelle. Amelie, senegalese, da cinque anni in Italia, all’angolo di via della Conciliazione posa per una foto ricordo con la copertina dell’Osservatore di strada, distribuito ogni domenica all’Angelus e che per il giorno dei funerali è uscito in edizione straordinaria. Le chiedo il motivo. Singhiozza. «Ho un figlio affetto da un brutto male sin dalla nascita», racconta, «in Senegal era impossibile curarlo. Papa Francesco ha fatto in modo che venisse a curarsi al Bambino Gesù. Dio lo benedica, è un uomo generoso e gentile».
C’è un top manager che all’uscita del feretro sul sagrato si commuove e scoppia a piangere. Una ragazza, che fa l’indossatrice, chiede come si fa a diventare cattolici. Una madre che ha sette figli, e l’ultimo l’ha chiamato Francesco. Paolo, uno dei clochard che vive attorno a San Pietro, che grazie al Papa ha visitato la Cappella Sistina, ha allestito un altarino sotto il porticato di via della Conciliazione per ringraziarlo.
Un gruppo di scout di Casteldaccia, Palermo, dice che il Papa ha incarnato alla perfezione i valori dello scoutismo: l’accoglienza verso tutti, l’aiuto per chi è in difficoltà, nessuna discriminazione. «Un grande davvero», sintetizza Fabrizio, 15 anni.
Ai varchi di piazza San’Uffizio, il lato dove si trova Casa Santa Marta e l’Aula Paolo VI, tra monsignori, preti e giornalisti, c’è una vecchietta in fila per entrare con il bastone. «Dove deve andare?», le chiede, perplesso, un volontario della Protezione civile. «Dar Papa mio», risponde in romanesco. «Bella mia, sei dolce come mi’ nonna», risponde dandole un buffetto sulla guancia.
È un addio di popolo. Sobrio ma verace al tempo stesso. E che a Francesco sarebbe piaciuto. Nessuno è indifferente, nessuno è estraneo. Perché lui è stato tutti loro, e tutti, in lui, si sono riconosciuti, ritrovati, sentiti amati, chiamati (al telefono).
Quello che doveva essere il Giubileo degli adolescenti con la canonizzazione di Carlo Acutis si è trasformato nell’addio al Papa che ha iniziato l’Anno Santo aprendo la Porta Santa a Natale sulla sedia a rotelle. «È stato un grande», dicono i ragazzi arrivati da Pianoro, Bologna, la diocesi del cardinale Zuppi. «A proposito, facciamo il tifo per lui», dice Andrea, uno degli educatori, «è un figo, uno in gamba».
La folla di fedeli lungo via della Conciliazione durante i funerali di papa Francesco (Reuters)
Sul sagrato cominciano le prove per la Messa con il coro che prova i canti in latino. Via della Conciliazione è un fiume di gente che sembra non finire mai. E mancano ancora due ore all’inizio della celebrazione.
Un ragazzone con la maglia del Barcellona continua a postare foto su Instagram con didascalie tipo «è un grande», «spettacolare», «super e ancora super». Una vecchietta, francese, non vuole saperne di sedersi su una seggiola pieghevole offertale da un giovane. «Solo Francesco mi capiva e nessun altro», si lascia andare una signora truccatissima (e assai poco in linea con il dress code del funerale).
Un gruppo di suorine americane inizia a dire il Rosario. I più caciaroni sono i ragazzi italiani e quelli spagnoli, i più composti polacchi e tedeschi. Una coppia con due bimbi racconta che stamattina hanno dovuto svegliarli presto: «Li abbiamo affidati a lui, non potevamo mancare».
Tommaso, Elena e Pietro, tutti quattordicenni, arrivano da Perugia: «È un evento storico. È bello vedere come una comunità così grande si riunisca non solo per piangere ma anche per pregare per il futuro della Chiesa e del mondo». Elisa ha trovato posto davanti. Mi offre un pezzo di crostata e racconta di quando il Papa prese in braccio la sua figliola che ora ha 7 anni e aspetta un po’ assonnata l’inizio della Messa.
Qualcuno, alla vigilia, ha detto che ci sarebbero stati due funerali, quello solenne e quello popolare, quello dei potenti e quello dei fedeli. Non è così. Papa Francesco, con il suo carisma, ha saputo tenere insieme tutto. È stato il parroco del mondo e il leader che strigliava i potenti che ora arrivano alla spicciolata sul sagrato di San Pietro, accolti dai gentiluomini di Sua Santità, e si accomodano nei posti indicati loro dal cerimoniale.
Trump e Zelensky dovevano essere distanti e invece si ritrovano sulla stessa fila, anche se non accanto. Si sono incontrati in Basilica, prima della celebrazione. «Diplomazia funebre», dicono alcuni. «Un miracolo di Bergoglio», commenta entusiasta un prete che vede la foto sullo smartphone. Mattarella è accompagnato dalla figlia Laura. La premier Meloni non ha il velo. Melania Trump sì.
Il presidente argentino Milei, con la sorella, abbozza un sorriso. Lula, il presidente brasiliano, appare commosso. Il principe William scruta attento il rito. Serioso Macron.
La piazza non è quella che l’8 aprile 2005 acclamava “Santo subito” Giovanni Paolo II. C’è meno furore e più riflessione. Il primo grande applauso scatta quando il feretro viene portato sul sagrato e adagiato a terra con il libro dei Vangeli posato sopra ma non c’è il vento che girava le pagine in occasione dei funerali di Wojtyla. Il secondo applauso scatta quando il cardinale Re, nell’omelia, ricorda che il Papa «soleva concludere i suoi discorsi ed i suoi incontri dicendo: “Non dimenticatevi di pregare per me”. Caro Papa Francesco», dice il porpotato, «ora chiediamo a Te di pregare per noi e che dal cielo Tu benedica la Chiesa, benedica Roma, benedica il mondo intero, come domenica scorsa hai fatto dal balcone di questa Basilica in un ultimo abbraccio con tutto il popolo di Dio, ma idealmente anche con l’umanità che cerca la verità con cuore sincero e tiene alta la fiaccola della speranza».
Alcuni pellegrini in piazza San Pietro
«Grazie», è la parola più usata da tutti i fedeli (anche nei pochi striscioni) nei confronti del Papa che ha sovvertito molto regole, anche nel mondo della Curia, ha reso un programma i fuoriprogramma, ha scelto le periferie per viaggiare ha gridato contro la guerra, come ricorda ancora Re nell’omelia sintetizzando il pontificato in una frase che a Bergoglio sarebbe piaciuta: «Ponti, non muri».
Un Papa che ha chiamato per nome molti che sono qui. Letteralmente. Come quando telefonava per rispondere alle lettere o ai bigliettini che gli arrivavano. Per fare gli auguri di compleanno, consolare una madre a cui era morto il figlio, informarsi dello stato di salute di qualcuno.
Claudio è con un gruppo di ragazzi che arriva da Castrocaro Terme: «Non ero mai entrato nella Basilica di San Pietro, è stata un’esperienza indimenticabile», racconta, «è stato un colpo al cuore vedere il Papa ma lui è stato davvero un grande, ci lascia una Chiesa meno tradizionale e antica, più vicina ai giovani e agli ultimi».
Anche il rito è sobrio. Quasi tutto in latino, tranne le letture e la preghiera dei fedeli, in varie lingue. Dopo la comunione, il feretro viene asperso con l’acqua benedetta e incensato. A concelebrare ci sono sono 220 cardinali, 750 tra vescovi e sacerdoti, 4.000 sacerdoti.
La supplica della Chiesa di Roma con le litanie dei santi in latino e poi quella dei Patriarchi delle Chiese orientali che cantano una preghiera tratta dalla Liturgia bizantina dei defunti. Il feretro viene sollevato da terra e mostrato, per l’ultima volta, alla folla in segno di saluto. Molti, adesso, si commuovono e scoppiano a piangere. Anche in sala stampa.
L’ultimo canto è quello del Magnificat, il canto di Maria esultante, il canto che dice no alla volontà di potenza: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote».
Francesco non riposerà tra queste mura dove, tra qualche giorno, i cardinali saranno chiamati a sceglierne il successore in un Conclave che si preannuncia difficile e cruciale.
L’ultimo viaggio, su una papamobile riadattata per l’occasione e utilizzata in uno dei suoi viaggi in Asia, è verso Santa Maria Maggiore. Centocinquantamila fedeli, dice la Questura, sono assiepati lungo il tragitto per salutare il Papa l’ultima volta. Da sommare ai circa duecentomila di San Pietro. C’è chi lancia fiori, chi applaude, chi grida “Francesco, Francesco”.
Sul sagrato della Basilica ad attenderlo ci sono quaranta poveri: clochard, detenuti, rifugiati, transessuali. Come Tamara, argentina, cacciata di casa a 11 anni, che s’è arresa definitivamente alla strada e alle sue leggi. In mano ha una rosa bianca. Piange. Il feretro viene portato davanti all’icona della Salus Populi Romani dove Bergoglio veniva a pregare prima e dopo ogni viaggio apostolico.
Il viaggio terreno di Francesco, 266esimo Papa della Chiesa cattolica, adesso è davvero finito.