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Francesco, promotore di una giustizia umana

Nell’articolo di Carlés si ripercorrono i pronunciamenti e le decisioni in merito all’abolizione della pena di morte con la sua particolare attenzione al rispetto della dignità di ogni persona. Francesco ci lascia un’eredità enorme sulla quale costruire una giustizia umana, “una sfida che dobbiamo affrontare tutti se vogliamo trattare i problemi della nostra convivenza civile in modo razionale, pacifico e democratico

di Roberto Carlés*

Giovedì santo, nella sua ultima uscita dal Vaticano, Francesco ha visitato il carcere di Regina Coeli. Non ha potuto, questa volta, compiere il rito della lavanda dei piedi, come era sua abitudine dai tempi in cui era arcivescovo di Buenos Aires. Era una cerimonia che amava, imitare con gli ultimi il gesto che Gesù aveva compiuto con i suoi discepoli, un gesto di servizio. In ogni sua visita alle carceri, Francesco portava speranza. Lo ha fatto anche lo scorso 26 dicembre spalancando la porta del centro di detenzione di Rebibbia, la seconda che ha aperto dopo aver dato inizio al Giubileo con l’apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro. Un gesto il cui significato, ha detto, non era altro che quello d’invitare i detenuti ad aprire il loro cuore alla speranza.

“Perché loro e non io?”, si domandava il Santo Padre. In tal modo esprimeva, con parole semplici e al tempo stesso profonde, com’era nel suo stile, l’idea che tutti commettiamo errori ma che solo alcuni li pagano. Perciò non dovrebbe sorprendere il fatto che, fin dall’inizio del suo pontificato, la questione della giustizia penale sia stata al centro del suo magistero. In una serie di documenti e interventi pubblici ha promosso, alla luce del Vangelo e in continuità con i suoi predecessori, uno sviluppo della Dottrina Sociale della Chiesa che, a partire dalla realtà dei sistemi penali del nostro tempo, sostiene che la giustizia penale si deve strutturare attorno al rispetto della dignità umana.

In un documento del 2019, che sintetizza il suo magistero in materia, ha affermato che “una delle maggiori sfide attuali della scienza penale è il superamento della visione idealistica che assimila il dover essere alla realtà”, con il rischio di “nascondere i lineamenti più autoritari dell’esercizio del potere”. In questa affermazione ha applicato alla questione penale uno dei principi proposti nel suo documento programmatico, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium: la realtà è superiore all’idea. Di conseguenza, il sapere penale non deve essere costruito sulla base di come crediamo che debba essere la pena, ma a partire dalla conoscenza effettiva della realtà dei sistemi penali.

Francesco ha descritto e criticato questa realtà, caratterizzata dall’incarcerazione di massa, dal sovraffollamento e dalle torture nelle carceri, dalla selettività del sistema penale, dall’arbitrarietà e dagli abusi da parte delle forze dell’ordine, dall’estensione della portata della pena, dalla criminalizzazione della protesta sociale, dalla strumentalizzazione del sistema penale a fini politici, dall’uso arbitrario della carcerazione preventiva e dal ripudio delle garanzie penali e processuali più elementari. Ha condannato la pena di morte e ha promosso la nuova formulazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica, che la dichiara inammissibile e stabilisce l’impegno della Chiesa a favore della sua abolizione in tutto il mondo; una riforma che esprime “il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta […] una pena che lede pesantemente la dignità umana”.

La sua condanna non si è limitata alla pena di morte legale, ma, in più occasioni, ha richiamato l’attenzione sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie. Ciò lo ha portato a guardare con preoccupazione ad alcune riforme legislative promosse in diversi Paesi riguardo all’esclusione [della responsabilità penale] per adempimento di un dovere e per legittima difesa. Ha denunciato che l’ergastolo è una pena di morte “nascosta”, perché compromette il “diritto alla speranza” e le “prospettive di riconciliazione e reinserimento”, dalle quali la pena non può prescindere.

Si è anche occupato di fenomeni concreti come la criminalizzazione dell’omosessualità, che “rappresenta il modello negativo per eccellenza di cultura dello scarto e dell’odio”, ha espresso la sua preoccupazione per “la scarsa o nulla attenzione che ricevono i delitti dei più potenti” e ha promosso il riconoscimento dell’ecocidio come crimine contro la pace. Francesco non si è limitato a denunciare i mali del sistema penale, ma ha anche proposto un modello che andasse al di là del tradizionale retribuzionismo: “tra la pena e il delitto esiste una asimmetria […] il compimento di un male non giustifica l’imposizione di un altro male come risposta. Si tratta di fare giustizia alla vittima, non di giustiziare l’aggressore”. A tal fine ha incoraggiato la costruzione di un modello di giustizia penale restaurativa “fondato sul dialogo, sull’incontro, perché là dove possibile siano restaurati i legami intaccati dal delitto e riparato il danno recato”.

Francesco ci lascia un’eredità enorme sulla quale costruire una giustizia umana, “una sfida che dobbiamo affrontare tutti se vogliamo trattare i problemi della nostra convivenza civile in modo razionale, pacifico e democratico”.

*Dottore in giurisprudenza, già ambasciatore della Repubblica Argentina in Italia e presidente della Fondazione Laudato si’



Dal sito Vatican News

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