Si è svolto a Roma, presso la Sala refettorio della Camera dei deputati, il convegno di studi “Il Viaggio di Marco Polo e Matteo Ricci nell’Intreccio tra Oriente e Occidente”, promosso e coordinato dal Movimento Cristiano Lavoratori. Il professor Benoît Vermander: sono stati grandi diplomatici che hanno superato la semplicistica contrapposizione tra realismo e idealismo e hanno unito il mondo invece di dividerlo
Maria Milvia Morciano – Roma
“Quando si fa storia si devono tenere i piedi piantati a terra, cioè si deve partire dal presente”. È partito da questa sottolineatura il professor Franco Cardini, docente di Storia Medievale presso l’Università di Firenze, all’inizio del suo intervento, durante il convegno di studi “Il Viaggio di Marco Polo e Matteo Ricci nell’Intreccio tra Oriente e Occidente”, promosso e coordinato da Movimento cristiano lavoratori (Mcl) e tenutosi il 15 aprile, presso la Sala Refettorio della Camera dei deputati. Infatti è impossibile non rileggere l’opera eccezionale dei due viaggiatori, il primo vissuto tra XIII e XIV secolo, il secondo 300 anni più tardi, alla luce di oggi. Tempi attuali in cui, con le parole del professor Benoît Vermander, gesuita e docente di studi religiosi presso la Facoltà di filosofia dell’Università Fudan di Shanghai, “un sistema internazionale sta crollando e un altro deve essere immaginato e costruito”. I relatori si sono chiesti come interpretare, alla luce delle grandi sfide globali e dei mutamenti geopolitici dell’attuale momento storico, il memorabile viaggio di Marco Polo e l’opera di Matteo Ricci. In che modo riscoprire, attraverso l’impatto delle due figure, strumenti quali la diplomazia culturale, il dialogo e la contaminazione tra culture, idee, conoscenze e valori un’opportunità di arricchimento reciproco e di promozione di una convivenza pacifica tra le nazioni.
Il presidente Generale di Mcl Alfonso Luzzi ha descritto con passione l’insegnamento del passato per il presente: “Il Medioevo è stato un periodo in cui l’uomo era trascinato dalla voglia di scoprire nuovi mondi. Marco Polo e Matteo Ricci hanno introdotto l’Europa in Asia e hanno fatto conoscere l’Asia all’Europa. Animati dal fervore di scambi, commerciali, politici e culturali hanno interconnesso mondi diversi. La cultura delle democrazie del nostro mondo” – ha aggiunto – “è impregnata dal pluralismo. L’Occidente non può isolarsi e deve agevolare i confronti e gli incontri. La più grande vittoria dell’Europa è stata quella di capire, dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale, che la pace duratura si ottiene favorendo la circolazione di beni e di persone, cercando il dialogo anche quando narrazioni sbagliate della storia, come quella che attualmente caratterizza la politica estera americana, spingono ad isolarsi”.
Tra gli altri, sono intervenuti anche Lorenzo Galanti, direttore generale dell’Agenzia per la promozione all’estero (Ice) e Yang Ruiguang, consigliere dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese, che ha ricordato come Marco Polo e Matteo Ricci siano ben noti in Cina, unici stranieri effigiati sui murales del Monumento del millennio cinese a Pechino. Il consigliere ha sottolineato, inoltre, come due culture apparentemente distanti possano arricchirsi e avvicinarsi attraverso lo scambio e l’apprendimento.
Il professor Benoît Vermander SI, oltre che docente all’Università Fudan di Shanghai, direttore accademico del Xu-Ricci Dialogue Center della stessa Università, sinologo e artista, ha focalizzato il suo intervento non solo sugli aspetti storici e sull’evoluzione della visione del mondo da Marco Polo a Matteo Ricci, ma soprattutto sulle lezioni che si possono trarre dal loro doppio percorso quando la riflessione viene rivolta alle gravissime sfide che l’Europa si trova ad affrontare oggi: “le crisi del momento ci impediscono di chiuderci in una riflessione che sia puramente storica”. Il professore gesuita, ritenuta tra le personalità più influenti nelle relazioni tra Cina e Francia negli ultimi cinquant’anni, ha condiviso con i media vaticani alcune considerazioni.
Differenze e somiglianze
“Mentre Marco Polo aprì il periodo del primo globalismo, il secondo inaugurò una nuova epoca”, esordisce Vermander. “Marco Polo fu un uomo medievale, l’uomo del romanzo epico – Il Milione – alla ricerca del Santo Graal, ovvero della conoscenza del mondo. Matteo Ricci fu invece l’uomo della geometria come metodo per capire tutte le realtà, quelle teologiche, naturali e geografiche. Dunque due modelli diversi, quello del romanzo e l’altro della geometria; ciò che li unisce è che entrambi ebbero comprensione del valore della gradualità, del fatto che tra un mondo e l’altro ci sono mille sfumature. Un altro punto di contatto tra le due personalità – spiega Benoît Vermander – è il comune senso dell’alleanza tra uomini che si incontrano, per un breve o lungo periodo, ma in ogni caso con la consapevolezza che per creare una relazione, forse non di amicizia ma almeno di cooperazione, bisogna lavorare, averne cura”.
La fede strumento di amicizia
“L’insegnamento che noi contemporanei possiamo trarre dal loro duplice percorso è la pazienza, incontrare l’altro dando tempo alla discussione, al fine di creare una relazione di cooperazione. Superare l’impazienza che è invece la caratteristica della nostra epoca. Pazienza, compromesso, dialogo, impegno nella relazione è la lezione di Marco Polo e di Matteo Ricci per il mondo contemporaneo”, osserva il professor Vermander. “Per Matteo Ricci, in particolare la fede fu uno straordinario strumento di amicizia, perché unita alla fiducia nell’uomo. Il missionario non vedeva nell’uomo diverso da lui una minaccia, ma un testimone della grandezza di Dio. La diversità del mondo è una testimonianza della grandezza di Dio e rinforza la sua fede permettendogli di confidare nell’uomo che incontrava”.
Impulso allo sforzo di Cina ed Europa
Rispondendo alla domanda su quale possa essere l’indicazione geopolitica che si può trarre oggi da Matteo Ricci e da Marco Polo, vissuti in un periodo della storia molto diverso dal nostro, il professor Vermander si sofferma su alcuni eventuali scenari: “la prima sfida oggi per l’Europa è l’alleanza tra la Russia e gli Stati Uniti. Sarebbe un problema più serio e terribile se fosse triplice, ovvero tra Stati Uniti, Russia e Cina. Per questo l’attuale priorità dell’Europa è quella di creare un nuovo dialogo con la Cina che, a sua volta, deve riconoscere che non parla con distinti Paesi, ma con l’Europa nella sua totalità”. E tornando all’analisi della storia passata, nota che “storicamente i rapporti di Marco Polo e di Ricci furono principalmente con la Cina. Dunque, l’esempio storico di Polo e di Ricci dà un impulso, in un certo modo, allo sforzo che oggi Cina e Europa devono compiere”.
Sconfiggere la paura
Nel sentito generale serpeggia una certa paura del grande Paese asiatico, anche perché non è ben conosciuto. “La conoscenza si unisce all’amicizia e il riconoscimento di uno Stato e del suo popolo. In realtà, ci sono ragioni obiettive per temere la Cina, perché in parte oggi è portatore di hybris. “È un problema – conclude il professor Vermander – ma è una ragione in più per parlare con la Cina. Quando hai paura di qualcuno, la cosa migliore è parlare con lui, non fuggire, anzi la paura è una ragione in più per cercare di parlare”.
Durante il convegno, il contributo del professor Maurizio Petrocchi, docente di Storia contemporanea e Storia sociale della politica presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Macerata, città natale di Matteo Ricci, scende ad approfondirne la figura usando anche gli strumenti dell’antropologia storica. Con i media vaticani si sofferma su alcuni aspetti particolarmente significativi per comprendere la personalità poliedrica e profetica del missionario gesuita.
Una mappa “decentrata”
“Matteo Ricci era un cartografo e disegnò una mappa di tutto il mondo con caratteristiche particolari. Portò in Cina tutti i saperi che aveva appreso durante i suoi studi. Le scuole gesuitiche del tempo possono essere paragonate alla Oxford di oggi. Una delle sue conoscenze era la cartografia, una delle scienze più affascinanti e utili all’epoca. Si pensi che quando c’erano gli abbordaggi dei pirati nei confronti delle navi mercantili, la prima cosa che facevano era appropriarsi delle mappe, per conoscere le rotte. La mappa del mondo del 1602 – spiega il professor Maurizio Petrocchi – ha la particolarità che al centro non situa l’Europa come si potrebbe pensare, ma il Pacifico; né la Cina né l’Europa sono al centro. Dobbiamo anche immaginare che le scoperte dell’epoca e, soprattutto le scoperte geografiche, considerano il mondo un globo. Il punto di vista di Matteo Ricci si rivela quanto mai interessante: tutti sono al centro del mondo ma dipende dal punto di vista di ciascuno. Matteo Ricci compie questo esercizio, questo sforzo, e all’inizio del 1600 pone il Pacifico nel mezzo, creando una terza via, un ibrido tra l’Europa e la Cina. L’Europa si stava affermando come soggetto dominante perché ancora non c’erano tutte le conoscenze di altri mondi e Matteo Ricci compie questo esercizio intellettuale, questo sforzo inedito”.
L’amicizia al primo posto
“L’altro aspetto interessante” – aggiunge lo storico Petrocchi – “è che la prima opera che Ricci scrive in cinese, il De amicitia, nel 1595, è un trattato sull’amicizia. Per Matteo Ricci è uno strumento di dialogo. Capisce che l’amicizia come gratuità, senza avere nulla in cambio e in maniera totalmente disinteressata, è lo strumento per aprire un ponte di dialogo, un ponte culturale con questo nuovo Paese che lo ospita e, soprattutto, con i cinesi e con la loro cultura. Inizia a pensare e a scrivere, probabilmente anche a sognare, in cinese; l’amicizia diventa per Matteo Ricci uno strumento fondamentale per entrare nei cuori e nella cultura della Cina”.
Matteo Ricci, pioniere dell’empatia
“L’empatia è quella percezione, quella sensazione che ci aiuta a metterci nei panni degli altri; è un’evoluzione, se così possiamo definirla, dell’amicizia. Quando c’è una relazione molto stretta tra due persone, due amici che si conoscono, c’è appunto empatia; questo significa riuscire a percepire, a capire quello che l’altro vuole, desidera o vuole trasmetterci, senza magari comunicarcelo. Matteo Ricci, attraverso questa relazione, questa amicizia e questo legame molto stretto con i letterati cinesi, riesce ad immedesimarsi; riesce quindi a creare questa ‘competenza sociale’ – conclude il professor Petrocchi – anticipando quel concetto che sarà ripreso successivamente dopo tre o quattrocento anni”.