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Quando i pontefici “votavano ” per la Dc



Cesare Catananti.

Pubblichiamo la prefazione di Andrea Riccardi al volume edito dalla San Paolo “L’Italia vaticana”, di Cesare Catananti, da oggi in libreria, un saggio inchiesta che ricostruisce i rapporti tra le due sponde del Tevere nel Dopoguerra. Il libro illumina per la prima volta – grazie alle ricerche in numerosi archivi, tra cui quelli vaticani aperti da papa Francesco – il retroscena dei rapporti tra Pio XII e De Gasperi, tra il Vaticano e la Democrazia Cristiana. Un’opera fondamentale per capire come i pontefici, da Pio XII a Paolo VI influenzò la nascita della Repubblica italiana, illuminando il tenace e spesso nascosto dialogo tra Chiesa e Stato, al fine di costruire una vera e propria “civitas christiana” in Italia.

di Andrea Riccardi

Non si può conoscere a fondo l’Italia del secondo dopoguerra senza considerare il ruolo del papa, della Santa Sede, della Chiesa. Questo ruolo è stato spesso percepito, nell’immediatezza delle vicende politiche, come l’intromissione vaticana nella politica italiana. Con toni severi, Ernesto Rossi e tanti laici radicali denunciavano il pericolo di un’egemonia vaticana sulla giovane Repubblica. Sicuramente il profilo dello Stato italiano è assai particolare, tanto diverso dalla laica Francia, ma anche dalla Spagna di Franco, considerata sulle pagine de La Civiltà Cattolica, rivista gesuitica con carattere ufficioso, molto vicina al modello cattolico, specie nel trattamento dei culti non cattolici.

L’Italia era il paese della Chiesa? Era la “nazione cattolica”? Ricordo il mio amico, Valdo Vinay, pastore valdese, discepolo di Karl Barth, quando mi raccontava con rabbia e dispiacere che il ministro dell’Interno, Scelba, ricevette la Tavola valdese, supremo organo di questa Chiesa evangelica italiana, in piedi e in maniche di camicia, in segno di poca considerazione. Lo stesso Vinay, predicatore domenicale nella comunità valdese di Ferentino, nel Lazio, ricevette avvertimenti dalle autorità di polizia per questa sua, del tutto lecita, attività.

Arturo Carlo Jemolo, illustre giurista, tutt’altro che un polemista, attento studioso dei rapporti tra Chiesa e Stato, ha fotografato bene questa situazione italiana, così particolare. Ne parla come di un “regime clericale”. Così scrive:

«…puntigliosa e estensiva applicazione del Concordato, molestie, per non usare il vocabolo troppo grave di persecuzione, ai pur innocui tentativi di proselitismo di testimoni di Geova e pentecostali, soprattutto manifestazioni esteriori, esercizi spirituali in Quaresima nei ministeri, sindaci con sciarpa e gonfalone alle processioni, ragazzi accompagnati in chiesa dai loro maestri o professori alla richiesta di un parroco perché partecipassero ad una messa…, soldati accompagnati dai loro sottufficiali, in drappello, alla messa domenicale, benedizione di ogni locale che s’inaugurasse anche se non aveva nessuna destinazione religiosa, come un’agenzia di banca.»

Chi come me, seppure giovane, ha conosciuto quel periodo, ricorda bene l’evidente presenza della Chiesa e dei suoi ministri nella vita sociale e pubblica del paese, quasi espressione che la religione cattolica era la religione degli italiani e quella ufficiale dello Stato. Non si dimentichi però che l’Italia era un paese cattolico, la cui identità era uscita rafforzata dal dramma della guerra, in cui Pio XII – come alcuni vescovi – aveva grandeggiato nella figura di defensor civitatis nel vuoto lasciato dal governo regio e sotto l’oppressiva occupazione nazista, che godeva della collaborazione fascista italiana.

Non si dimentichi però che quella della Chiesa, sebbene forte della storia e di un grande radicamento nel popolo, dopo la guerra e con la democrazia non era l’unica presenza sociale: il Partito Comunista, il più grande dell’Europa occidentale, poteva contare su una vasta organizzazione sociale e su una forte ramificazione nella società. La società italiana della Repubblica non è grigia, solo egemonizzata dalla Chiesa, ma rappresenta un terreno vivace di confronto tra presenze sociali e aggregative differenti e concorrenti. Il che era sentito dalla Chiesa anche come una temibile sfida, specie dopo che, durante la guerra, si era rivelata “madre della nazione” con l’aiuto alla gente e con l’esercizio di un ruolo sociale nel vuoto politico.

In realtà conosciamo solo in parte il dibattito che si svolgeva nel mondo vaticano e le preoccupazioni che abitavano il papa e i suoi collaboratori rispetto all’Italia. Innanzi tutto non vi era unanimità di opinioni e di priorità. La posizione del sostituto Montini, vicino a De Gasperi anche per storia familiare, era molto differente da quella del cardinale Ottaviani. Quella di Pio XII era ancora un’altra. Tuttavia le carte vaticane di questo periodo sono state chiuse fino a non molto tempo fa. Il valore di questo libro di Cesare Catananti è proprio quello di essersi fondato su una ricerca sistematica negli archivi vaticani, dopo l’apertura voluta da papa Francesco, che permette di illuminare dettagliatamente la visione della Santa Sede.

Cesare Catananti, che ha pubblicato un interessante libro su Il Vaticano nella tormenta e un illuminante volume su una delle pagine più controverse e meno conosciute di quel periodo, la scomunica dei comunisti da parte del Sant’Uffizio nel 1949, oggi – con questo libro – offre la prima ricostruzione della politica papale e vaticana verso l’Italia, fondata sulla documentazione vaticana. Mette in luce quanto numerosi fossero gli interlocutori vaticani e quanti uomini e istituzioni fossero impegnati nella gestione di un dossier che era prioritario per Pio XII.

Uno dei motivi che preoccupavano alcune autorità vaticane, al tempo delle decisioni di papa Francesco sull’apertura degli archivi del periodo pacelliano, era proprio la documentazione delle tante interferenze vaticane, anche minori, nella politica italiana. Che figura avrebbe fatto la Chiesa? Ma questa è storia.

Una tra tutte le azioni vaticane riguarda la vicenda del monumento a Mazzini che campeggia a Roma sull’Aventino, rivolto al Circo Massimo: «quel monumento… – scrive l’Autore – costituiva un vulnus per la Santa Sede». La Santa Sede chiede che la tiara pontificia calpestata dai corsieri repubblicani, rappresentata nel basamento del monumento, venga tolta. Così i festeggiamenti mazziniani del 1949 sono visti «con molto sfavore» dalla Segreteria di Stato, perché riguardano una personalità che ha preconizzato «nella caduta del potere temporale, un rapido tramonto del papato, come istituto religioso e spirituale».

Tuttavia queste ingerenze non sono l’aspetto più importante, anche se svelano una larga storia di pressioni sul governo De Gasperi, per cui il sostegno repubblicano, liberale e socialdemocratico era determinante. Al di là delle interferenze, la Chiesa e il papa sostengono la nascente e fragile democrazia italiana. La ricostruzione di Catananti ci restituisce la storia di una “sponda” del Tevere nella sua interazione con l’altra “sponda”, quella dell’Italia repubblicana.

L’Autore racconta questa storia, che talvolta appare quasi un romanzo, anche con aspetti che oggi ci appaiono un po’ risibili: non lo fa per denunciarne le ingerenze, ma non intende neppure difendere un tipo di rapporti tra Chiesa e Stato che, ormai, appartiene al passato. Il libro è importante anche perché, finora, si era fatta storia di quel periodo senza cognizione piena di quello che accadeva e si pensava in Vaticano. Mette a disposizione una documentazione davvero importante.

Essere un Paese cattolico poteva significare un riconoscimento pubblico della Chiesa, ma non spiegava in tutto l’intromissione vaticana ed ecclesiastica in politica, anche perché la Chiesa aveva i suoi uomini (laici) in posti di grande responsabilità. Infatti, gran parte delle pressioni si rivolgono agli uomini della Chiesa, ai democristiani, talvolta con l’implicita o esplicita accusa di tiepidezza. Giovanni Spadolini, che ha vissuto questa storia e che ne ha scritto con vivacità, ha parlato di un “Tevere più largo”. Diverse misure si sono attribuite (simbolicamente) alla larghezza del fiume che attraversa Roma: per alcuni era troppo stretto, causa l’ingerenza vaticana; per altri aveva la misura giusta; per altri infine quella possibile.

La critica all’intromissione clericale, la constatazione del regime cattolico e via dicendo non tengono conto di quella che Alcide De Gasperi, fondatore della DC, chiama la sua “storia segreta”, quella dei suoi difficili rapporti con il Vaticano di Pio XII: il leader democristiano, convinto cattolico, rivendicava però l’autonomia dei politici nel dettare la linea di governo, pur ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa. È una storia sofferta. A un Vaticano, ad esempio, che chiedeva tramite un inviato del papa maggior fermezza verso il PCI (per alcuni settori vaticani, la messa fuori legge del partito), De Gasperi risponde: «non va dimenticato che una percentuale dal 35 al 40 per cento degli elettori italiani ha votato socialcomunista: come si può prendere di petto oggi il comunismo in Italia? Sarebbe la guerra civile, forse la guerra vera e propria».

Al Vaticano, che chiede la censura preventiva sulla stampa per l’infanzia, De Gasperi risponde che «non ha molta fiducia sulla virtù moralizzatrice di una siffatta legge e delle leggi in genere…». Il leader crede più a un’azione della Chiesa e dei cristiani nella società, che a un costume che venga imposto dall’alto o dalla legge. Lo sguardo vaticano sull’Italia era condizionato anche dalla storia dei suoi dirigenti, quasi tutti italiani, che avevano vissuto il ventennio fascista, non senza difficoltà, ma abituati a un conformismo sociale dettato dallo Stato.

L’Italia democratica era diversa: qui si correva il rischio della libertà, ma anche si viveva l’opportunità che essa offriva alla Chiesa stessa, la quale aveva conosciuto durante il fascismo limitazioni e, allo stesso tempo, privilegi. De Gasperi non era pessimista sull’Italia e mandava questo messaggio a Pio XII: egli «era persuaso della gravità della situazione. Non la riteneva però disperata: la lotta sarà dura, ma le forze sane avranno il sopravvento».

C’era un grande lavoro di ricostruzione da fare, di crescita sociale da realizzare, di educazione da diffondere, di livello economico della vita di tanti da innalzare. L’unico obiettivo non era quello della moralità pubblica, anche se il papa e la Chiesa erano favorevoli a una politica sociale dello Stato.

Il libro di Catananti fa capire come la Chiesa si sentisse autorizzata a intervenire, sia da un punto di vista pastorale, sia per il peso che aveva nella vicenda politica italiana. Essa, che aveva appoggiato la DC a tutti gli appuntamenti elettorali con una mobilitazione vastissima e convinta, era, per così dire, l’azionista di maggioranza del partito e del governo. Per De Gasperi, invece, la responsabilità politica spettava alla classe dirigente del partito. Tale interpretazione non era del tutto accettata in Vaticano. Si paventava che la fiducia accordata alla DC sarebbe stata ritirata dalla Chiesa: ma che altre opzioni avevano Pio XII e i suoi collaboratori, se non appoggiare il partito cattolico? Si sarebbero presi la responsabilità di smontare l’argine anticomunista? In fondo, quelle tra Santa Sede e governo italiano sono tensioni all’interno di un unico blocco, che resta tale per anni.

È merito degli studi di Pietro Scoppola, negli anni Settanta e Ottanta, aver illuminato la “storia segreta” di un cattolico e di un politico laico, come De Gasperi. Sulla sua scia, chi scrive, in anni successivi, ha delineato l’opposizione alla linea degasperiana in Vaticano, specie da parte di quello che ho chiamato il “partito romano”, che aveva nel cardinale Ottaviani, segretario del Sant’Uffizio, il suo campione e in monsignor Roberto Ronca il suo uomo di punta. Questo mondo pensava a un’alleanza della DC con la destra, all’ombra del cattolicesimo, contro il fronte di sinistra. Non capiva e non accettava quello che considerava il “laicismo” di De Gasperi. In fondo aveva di mira la creazione di uno Stato cattolico, più o meno democratico, ma sicuramente non liberale. Quella di De Gasperi era invece la realizzazione di uno Stato liberal-democratico, cui i cattolici davano un contributo determinante.

Ora l’Autore illumina le dinamiche di un Vaticano che vive in un’Italia nuova, pluralista e democratica come non mai: di qui le difficoltà, le proteste, i rimbrotti, ma anche una solidarietà di fondo, quella del blocco cattolico-democristiano. Un blocco – lo ripeto – di fronte a cui non c’erano alternative per la Chiesa. Questo era vero per Pio XII, ma anche per il sostituto Montini, che, per la sua funzione, tiene i rapporti tra la Santa Sede e il governo, ma anche con i democristiani. Per lo stesso Montini, anche quando diventa Paolo VI, la DC sarà una realtà politica insostituibile, sia nella prospettiva del bene comune del Paese che per la Chiesa. Per questo, il grande storico e sociologo francese Émile Poulat ne parla come dell’“unico papa democristiano”.

Per chi ignorava la dialettica tra De Gasperi e il Vaticano, per le sinistre e i laici, polemici sul “regime clericale” italiano, il leader democristiano e i suoi colleghi di partito o di governo erano considerati gli strumenti dell’operazione clericale per dare alla Chiesa il primato nella vita sociale. Erano trattati talvolta da “chierichetti” del Vaticano. Ma, complessivamente, la classe dirigente democristiana si attesta sulla misura “possibile” del Tevere, cioè su di una politica che preservi l’autonomia della politica a ogni sostanziale ingerenza clericale. Tuttavia De Gasperi vuole tener saldo il consenso e l’appoggio della Chiesa alla democrazia, perché ricorda bene il trauma dell’abbandono del Vaticano nei confronti del Partito Popolare e di don Sturzo, proprio di fronte all’affermazione del fascismo.

È una storia narrata in queste pagine a partire da una documentazione inedita, ma decisiva per una più approfondita comprensione, di cui dobbiamo essere grati a Cesare Catananti. In genere gli interventi vengono da parte vaticana nei confronti del governo, ma in alcuni casi sono i democristiani che si rivolgono alla Chiesa, come nel caso del progetto di riforma della scuola, in cui il ministro della Pubblica Istruzione, Gonella, «chiede lumi alla Segreteria di Stato!». L’Italia di quegli anni conta due classi dirigenti cattoliche, diverse ma comunicanti: quella ecclesiastica della Chiesa e quella laica della DC.

La politica degasperiana fa evolvere la DC da “partito cattolico” o partito della Chiesa, come nasce oggettivamente e resta per buona parte del suo consenso elettorale, a partito della nazione o partito italiano, come ha ben messo in luce Agostino Giovagnoli. De Gasperi risponde chiaramente a monsignor Pavan, inviatogli riservatamente da Pio XII per raccomandargli una maggiore opposizione al comunismo e un’apertura al Movimento Sociale Italiano, come baluardo all’avanzata della sinistra. Le sue parole sono «tra lo scherzoso e il melanconico: “S’immagini, monsignore, se non mi impegno a fondo: qualora dovesse avere il sopravvento il comunismo… il primo ad essere impiccato sarei io!”».

Tuttavia non ci troviamo di fronte a un Vaticano che vuole gestire l’Italia in maniera diretta, anche se talvolta non rinuncia a dire la sua. C’è un caso particolarmente interessante, tra i molti di questo libro, e riguarda una legge tanto importante quanto discussa, quella proposta dalla senatrice socialista Lina Merlin, approvata nel febbraio 1958: il testo vieta «l’esercizio di case di prostituzione nel territorio dello Stato». Il provvedimento genera polemiche anche all’interno dei vari schieramenti, tra cui la DC, perché tocca una cultura maschile in cui le “case chiuse” avevano un loro ruolo. D’altra parte si faceva notare come la legge potesse provocare la liberalizzazione della prostituzione in Italia.

Su un tema simile, la posizione morale della Chiesa avrebbe potuto farsi sentire pesantemente. Al contrario la Chiesa tace. Anzi risulta che Pio XII stesso abbia voluto questa posizione: «la mente del Santo Padre fu, già nel 1949: conviene tacere». “Mente”, come si dice in linguaggio vaticano, confermata nel 1957. Eppure la moralità è una delle grandi battaglie della Chiesa, tanto da costituire appositi segretariati al servizio delle campagne in questo campo.

La ricerca di Catananti abbraccia il secondo dopoguerra sino alla fine del pontificato di Pio XII e si affaccia al pontificato di Giovanni XXIII. Si passa attraverso stagioni del pontificato diverse e l’ultima è la più difficile: «Si diluì l’unità di intenti in uno spezzettamento della visione d’insieme» – scrive l’Autore. Emergono conflitti di personalità, ma svaniscono anche quell’indirizzo comune e quella passione condivisa che caratterizzavano il clima emergenziale dell’immediato dopoguerra.

Dopo l’allontanamento di Montini dalla Segreteria e la sua nomina all’arcivescovado di Milano nel 1954, il nuovo sostituto, monsignor Angelo Dell’Acqua, gestisce – ma non è l’unico – i rapporti con la politica: il suo riferimento nella DC è Fanfani, presentatogli da La Pira. Il nuovo sostituto non è Montini, ma uno zelante funzionario di Curia, che durante la guerra aveva mostrato alcune serie fragilità nel trattare la questione ebraica. Nel 1957 Dell’Acqua, ad esempio, sollecitò il nunzio in Italia perché intervenisse presso le autorità per bloccare l’ipotesi di candidatura di Alberto Moravia al Nobel per la letteratura.

Ma anche il Sant’Uffizio di Ottaviani esercita un ruolo politico. La Pira, infastidito da queste posizioni, afferma che bisogna dire ai cardinali «che preghino di più e non si occupino di cose politiche, perché non se ne intendono e non è il loro mestiere». Nel 1960, Ottaviani, in una pubblica predica a Santa Maria Maggiore, durante una Messa per la Chiesa del silenzio, condanna duramente e aspramente il viaggio del presidente Gronchi in URSS, dopo averlo a lungo osteggiato. Poteva un presidente di un Paese cattolico, come l’Italia, stringere la mano insanguinata dalla persecuzione ai cristiani? Al contrario, per La Pira quel viaggio rappresentava una decisiva strategia di attrazione dell’impero sovietico nell’orbita occidentale e cristiana, un passo di pacificazione del mondo verso dirigenti, che il sindaco di Firenze certo non stimava, ma con cui era decisivo parlare.

L’Autore mostra come l’ipotesi del viaggio, nata negli anni di Pio XII, avesse ricevuto un veto da parte del papa. Gronchi, nei suoi contatti con i sovietici, aveva però individuato alcuni punti di negoziato attorno allo status della Chiesa cattolica in URSS, ma anche in Cina e nei Paesi dell’Est, chiedendo la liberazione dei religiosi arrestati. Ma il Vaticano di allora non pareva molto interessato a questa mediazione, quasi i primordi della politica orientale di papa Roncalli. Siamo però alla fine del pontificato. Infatti, il presidente italiano nel 1960 partì per Mosca, accompagnato dagli auguri di Giovanni XXIII. Si manifestava un’altra visione, anche se il personale di Curia, in buona parte, restava lo stesso degli anni di papa Pacelli.

Alla fine della lettura del lavoro di Catananti, si coglie quella complessità della storia, spesso negata da ricostruzioni parziali. Lo studio della storia, sulla base dei documenti, rivela come la vicenda storica sia complessa e non riducibile a schemi o interpretazioni di parte. Dopo il tempo delle polemiche viviamo oggi quello della comprensione, mentre ci auguriamo che non venga mai il tempo dell’ignoranza o dell’indifferenza alla storia, perché un popolo senza storia è alla fine manipolabile e senza futuro.





Dal sito Famiglia Cristiana

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