Presentato a Roma il Rapporto del servizio ai rifugiati dei gesuiti. Padre Camillo Ripamonti: “Le politiche restrittive non aiutano”. ll cardinale Reina: “Non possiamo accettare nel 2025 che ci siano degli scarti umani”
Beatrice Guarrera – Città del Vaticano
«Non possiamo accettare nel 2025 che ci siano degli scarti umani, sono tutti fratelli che meritano accoglienza, rispetto e dignità». Sono le parole, in merito alle persone migranti, pronunciate dal cardinale Baldassare Reina, vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma, a margine della presentazione del Rapporto annuale 2025 del Centro Astalli, che si è svolta questa mattina nella sede della curia generalizia della Compagnia di Gesù a Roma. Durante l’incontro è stata fornita una fotografia aggiornata sulle condizioni di richiedenti asilo e rifugiati che nel 2024 si sono rivolti al servizio dei gesuiti per i rifugiati, tra Roma, Bologna, Catania, Grumo Nevano, Palermo, Padova, Trento, Vicenza.
Una forte domanda di accoglienza
«C’è una domanda di accoglienza — ha dichiarato il cardinale Reina — che è molto forte. La condizione complessiva mondiale certamente non aiuta. Sentiamo tutti ogni giorno quello che succede in diverse aree del mondo, a partire non solo dalle guerre, ma anche dalle carestie, dalle calamità naturali. Tutto questo ci interpella: come Italia, come società occidentale, non possiamo chiudere gli occhi. È un problema che attende delle risposte e il Centro Astalli fa un’opera straordinaria». Il vicario del Papa per la diocesi a Roma ha dunque espresso il proprio ringraziamento ai gesuiti e ha ribadito, al contempo, la necessità di «un’alleanza condivisa con tutti, con le forze politiche, con il terzo settore, con tutti coloro che hanno a cuore le sorti dei poveri».
Guardare negli occhi i migranti
Durante il suo intervento all’evento, in dialogo con la giornalista de «la Repubblica» Annalisa Cuzzocrea, il cardinale Reina ha spiegato, infatti, che la questione migratoria può essere affrontata con due prospettive diverse, quella «delle carte» e quella «degli sguardi»: «Quando si parla di migranti, richiedenti asilo, lo si può fare studiando il fenomeno dal punto di vista geopolitico. Altra cosa è se guardi negli occhi quelle persone: cambia la prospettiva». Durante questo «tempo complicato» e «di preoccupazione per le scelte che si stanno facendo», «vorrei — ha continuato — che tutti coloro che gridano al riarmo, pensando che sia quella la via della sicurezza, qualche volta riuscissero a vedere gli occhi di uomini, donne e bambini che fuggono da calamità, che attraversano il deserto, che si ritrovano nei centri di detenzioni libici, che subiscono torture lì, che affrontano il viaggio sui gommoni». L’urgenza è dunque quella di tornare alle «sorgenti dell’umanità», attraverso lo sguardo di questi fratelli e sorelle.
Aumenta la vulnerabilità
«La cosa che emerge dal Rapporto annuale è la vulnerabilità delle persone che arrivano, o meglio dell’essere “vulnerati” — ha dichiarato ai media vaticani padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli — perché i viaggi che hanno dovuto affrontare queste persone rendono la loro vita molto più complicata. Ne portano le ferite nel corpo e anche nella mente». «Emerge anche — ha continuato — la difficoltà dell’integrazione, sulla quale negli ultimi anni si è un po’ disinvestito. Dimenticare che l’accoglienza va di pari passo all’integrazione, e che quindi le persone vanno accompagnate ad inserirsi nel territorio, rischia di essere un boomerang». Le ultime normative in ambito europeo e italiano — come il Patto sulla migrazione e l’asilo, adottato dal Consiglio Europeo lo scorso maggio, e la questione dei centri in Albania — «hanno reso più complesso il viaggio e il riconoscimento alle procedure di accesso dei migranti. Le procedure accelerate alle frontiere aumentano l’arbitrarietà nella concessione del diritto d’asilo alle persone e anche l’arbitrarietà delle detenzioni di queste persone in centri, diciamo, di detenzione amministrativa», ha detto Ripamonti: «Queste politiche in qualche modo restrittive, non aiutano a guardare al futuro inserendo la migrazione nelle politiche dei vari Paesi».
Un segno di speranza
Presentando il Rapporto in questo anno giubilare, il presidente del Centro Astalli ha espresso «la ferma convinzione che accompagnare, servire e difendere le persone richiedenti asilo e rifugiate sia un segno di speranza». «Potremmo domandarci — ha continuato Ripamonti —: “Siamo stati di ostacolo a questa speranza nell’anno trascorso?”». Da lì sono scaturite una serie di riflessioni, che hanno portato il gesuita a definire detenzione arbitrarie e “deportabilità”, come ostacoli alla speranza di una vita migliore per i migranti, in riferimento alle nuove normative europee e italiane. Le soluzioni sono ricercare, invece, in due parole chiave: accoglienza e inclusione. O meglio “accoglienze”. «È infatti una pluralità di accoglienze che risponde alla varietà di persone che arrivano e con le quali è possibile un cammino di inclusione — ha affermato Ripamonti —. Attualmente, pur nella riduzione dei numeri generali degli arrivi, non si sta portando avanti una riflessione vera sul modo migliore per accogliere e accompagnare i beneficiari di protezione internazionale».
Spazi di salvezza dell’umano
In tempi segnati da violenza, che coinvolge sempre di più i giovanissimi, si possono invece fornire «spazi di salvezza dell’umano», attraverso l’incontro con i rifugiati. È ciò che ha portato avanti nel 2024 il Centro Astalli, attraverso i progetti Finestre e Incontri, con i giovani italiani delle scuole secondarie, «anche se tra di loro ci sono molti ragazzi e ragazze — troppi — che non hanno ancora la cittadinanza, che sono cittadini di fatto anche se ancora non di diritto», ha ribadito Ripamonti. Un’occasione di crescita dunque che indica la strada giusta per l’inclusione, che passa attraverso i più giovani.
L’importanza della testimonianza
Attraverso i progetti nelle scuole, si punta dunque a far in modo che vengano demoliti gli stereotipi legati ai migranti. “Spesso si parla dei numeri: sono arrivati 100, 50, 500, ma sono 500 storie, 500 motivi, 500 storie diverse. Ognuno ha il suo vissuto”. Lo afferma Cedric, un ragazzo rifugiato della Repubblica Democratica del Congo. “Lavoravo come attore in Congo. Poi, dopo aver partecipato a un progetto in collaborazione con l’Unicef – un progetto di un film che denunciava la violenza dei poliziotti in Congo verso le donne detenute -, sono dovuto scappare”. La sua è una delle tante storie di migrazione forzata, per la quale gli è stata riconosciuta la protezione internazionale. “Ho conosciuto il centro Astalli attraverso un amico – racconta Cedric – . Volevo condividere la mia esperienza, perché vedevo che tante persone a volte si immaginano delle cose, forse guardando la televisione, leggendo i giornali, ma la testimonianza è una cosa diversa. Oggi vado nelle scuole e condivido il mio percorso di immigrazione, di fuga e dell’arte”.
I dati
Gli utenti raggiunti dal Centro Astalli nel 2024 sono 24.000, di cui 11.000 a Roma. Si è operato attraverso l’aiuto di 803 volontari in 8 enti della rete territoriale del Centro Astalli. Da registrare, inoltre, con interesse i 38.700 studenti incontrati nell’ambito dei progetti Finestre e Incontri. Coloro che si sono rivolti al Centro Astalli nel 2024 hanno manifestato bisogni primari come cibo e salute, diretta espressione delle difficoltà di accesso da parte di molti al circuito dell’accoglienza istituzionale. La mensa ha distribuito, infatti, per quest’anno oltre 65mila pasti (42mila in convenzione con Roma Capitale) a più 2.500 persone; il presidio sanitario di via degli Astalli ha fornito, inoltre, quasi 10mila farmaci da banco grazie alla collaborazione con il Banco Farmaceutico e con tante farmacie di Roma; il servizio SaMiFo, centro di riferimento regionale per la salute del migrante forzato, frutto della quasi ventennale collaborazione tra la Asl Roma 1 e il Centro Astalli, ha effettuate oltre 10mila visite solo nell’ultimo anno. Oltre 1.000 persone sono state accolte nelle realtà della rete territoriale (quasi l’1% del totale sul territorio nazionale), mentre solo a Roma 900 persone hanno avuto accesso allo sportello di orientamento lavorativo.