La povertà in Italia cresce anno dopo anno e tocca sempre di più interi nuclei familiari. L’ultimo rapporto Istat sulle condizioni di vita e sul reddito delle famiglie lancia un’ennesima richiesta per un intervento concreto. Se da un lato i dati del 2024 non si discostano così tanto da quelli del 2023, è evidente il costante aumento di certi numeri. A partire dal 23,1% di persone a rischio povertà o esclusione sociale. O l’aumento di cinque punti percentuali (dal 37% al 42%) per quanto riguarda il numero di famiglie con 3 o più figli minori ritenute a rischio povertà. Don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana -l’ente confessionale della Cei da sempre molto attento al tema della carità e del tenore della vita familiare- commenta la situazione.
-Don Pagniello, quale foto ci restituisce quest’ultimo rapporto Istat sulla povertà?
«L’ultimo rapporto conferma alcune tendenze che noi abbiamo già segnalato a ripetizione in passato. Guardando i dati ciò che mi preoccupa di più è la difficile condizione di vità che riguarda le famiglie numerose con almeno 5 membri. Ormai la povertà non è più riconducibile solo a singoli individui magari migranti, come accadeva qualche anno fa, ma tocca anche tante famiglie italiane. Certo molti numeri del 2024 confermano quelli del 2023 e questo è quantomeno positivo. Però crescono comunque le disuguaglianze, a livello sociale e a livello territoriale. Tra chi sta bene e chi fa fatica ad arrivare a fine mese o chi comunque è in povertà relativa c’è una differenza sempre più marcata».
-Parlando di differenza sociale e territoriale, secondo lei siamo ad un punto di non ritorno o si può ancora rimediare?
«Siamo nell’anno del Giubileo della Speranza, è giusto pensare che si possa rimediare ad ogni cosa. Nel caso specifico servono però scelte coraggiose e importanti. Scelte che permettano di invertire la rotta, avviando processi nuovi, duraturi e concreti. Bisogna lottare per abolire il lavoro povero e per far crescere i salari. Senza dimenticare tutti i problemi del Mezzogiorno e quelli legati alla povertà culturale. La povertà generale è alimentata anche dalla difficoltà che molte persone hanno nel loro percorso di istruzione e verso l’ottenimento del semplice diploma scolastico. Allo stesso tempo è necessario mettere anche in condizione le aziende di dare di più ai lavoratori. Deve essere il momento della speranza ma soprattutto del coraggio. Bisogna pensare al bene del lavoro in ogni sua forma».
-Collegandosi anche al tema dell’istruzione, quanto è serio il problema della povertà minorile?
«È senza dubbio uno dei problemi più seri, che si unisce a quello della povertà ereditaria. Una povertà che si eredita dai genitori e dalle famiglie. La povertà minorile è un qualcosa che richiede interventi grossi. È innanzitutto necessario l’aiuto delle istituzioni. Tuttavia serve poi costruire delle comunità educanti. Famiglia e scuola devono essere supportate, ad esempio, dalle realtà sportive e dalle parrocchie. Non si può più delegare certe responsabilità solo a famiglie e scuola».
-Spesso però certe realtà sportive e oratoriali non hanno nemmeno i mezzi per creare un senso di comunità
«Serve una cooperazione tra ogni componente. Non si può pensare di lottare da soli, è pure utopia. Se si combatte in solitaria si fa una fatica inutile. Bisogna ritrovare i valori della comunità. Stare insieme sul territorio per vincere le sfide più grandi. Andare oltre progetti fini a sé stessi, rendendo protagoniste le persone che abitano sul territorio. Credo che oggi sia un tema più urgente che mai».
-Inevitabilmente però sono le istituzioni a dover dare le risposte più opportune
«Io penso che l’intero sistema del paese debba dare risposte. La politica deve fare un grande sforzo nel trovare le risorse per far crescere l’Italia sotto vari aspetti. C’è una povertà molto strutturata a livello familiare e sociale. Non tutto può essere demandato al volontariato e al terzo settore. Serve ragionare su come aiutare i nostri giovani in ottica futura. Molti di loro vanno in altri paesi perché qui non hanno possibilità. Intanto il paese invecchia senza avere ricambio generazionale. Per questo è necessaria una sinergia. Mi viene da dire che servirebbero quasi degli Stati Generali per affrontare i problemi del welfare…».