Dalle origini costantiniane al culto di San Sebastiano, dalle esperienze mistiche di San Filippo Neri all’ultimo capolavoro del Bernini: un viaggio tra storia, spiritualità e bellezza nella Basilica lungo la via Appia, tappa del cammino giubilare delle sette chiese
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
In origine dedicata dall’imperatore Costantino alla memoria degli Apostoli Pietro e Paolo, la Basilica di San Sebastiano fuori le Mura custodisce un tesoro di arte, fede e storia che affonda le radici ai primi secoli del cristianesimo.
Origini e storia della Basilica
Costruita al IV miglio della Regina viarum, l’antica via Appia, sul luogo in cui, secondo la tradizione, durante la persecuzione di Valeriano vennero nascoste le reliquie degli Apostoli, rappresenta una delle tappe più significative del Pellegrinaggio delle Sette Chiese. Questo cammino giubilare notturno, ideato da San Filippo Neri nel XVI secolo, con i suoi 25 chilometri si snoda lungo la città e la campagna romana.
Il miracolo della Pentecoste di fuoco
Proprio negli ipogei di San Sebastiano, presso la tomba del martire romano situata nell’omonimo complesso catacombale, il santo fondatore degli oratoriani si recava spesso in preghiera. Fu qui che, nel 1544, si verificò l’episodio miracoloso della frattura e dell’allargamento della sua cassa toracica. Nei locali della Basilica si conserva ancora il crocifisso davanti al quale avvenne l’evento mistico della cosiddetta Pentecoste di fuoco. Ce lo mostra il parroco e rettore, padre Stefano Tamburo dell’Ordine dei Frati Minori che, dal 1826 per volere di Leone XII, sono subentrati ai monaci cistercensi.
“San Filippo Neri – ricorda il francescano – trascorreva molte notti in meditazione qui. Questo avvenimento soprannaturale, confortato anche da esami clinici in occasione dell’ultima ricognizione canonica, è tipico della vita dei grandi santi, come San Francesco o San Pio, che sperimentano nel loro corpo il grande amore di Gesù sulla croce”.
Il complesso archeologico e la sepoltura di San Sebastiano
Accompagnati da padre Stefano, ripercorriamo la storia della Basilica di San Sebastiano: “Il complesso archeologico su cui sorge conserva le memorie della prima comunità cristiana. Molti martiri dei primi secoli furono sepolti in questa necropoli, nata prima del cristianesimo”. I resti mortali del giovane Sebastiano, comandante dei pretoriani e stimata guardia personale dell’imperatore Diocleziano, ucciso per la sua fede cristiana, sono custoditi nel sarcofago collocato sotto la cappella a lui dedicata e decorata con la celebre statua del secentesco Giuseppe Giorgetti.
San Sebastiano testimoniò il Vangelo anche nel suo ambiente di lavoro, aiutando i cristiani incarcerati, seppellendo i martiri e convertendo militari e nobili della corte. “Quando la sua fede venne scoperta – racconta padre Tamburo – subì un doppio martirio”. Sopravvissuto alle frecce scagliate contro di lui dai suoi commilitoni sul colle Palatino, raggiunse ferito il corteo dell’imperatore rimproverandolo pubblicamente per la barbara persecuzione dei cristiani. La sua invettiva non restò impunita: Diocleziano lo fece catturare nuovamente e uccidere a bastonate, gettando poi il corpo nella Cloaca Maxima.
“Secondo la tradizione – prosegue il rettore della Basilica – apparve in sogno alla matrona romana Lucina, indicandole il luogo in cui si trovava il suo cadavere e chiedendole di seppellirlo sulla via Appia ad Catacumbas, letteralmente ‘presso le grotte, nell’avvallamento’, un’area in cui sorgeva una cava di pozzolana”. Da allora, il termine “catacomba” si diffuse per indicare i cimiteri dei primi cristiani.
San Sebastiano, taumaturgo e patrono di Roma
Durante la grave pestilenza del Seicento a Roma, San Sebastiano fu invocato dai cittadini nella speranza di salvarsi, così come egli era sopravvissuto alle frecce. Cessata l’epidemia, fu subito venerato come taumaturgo, difensore della Chiesa e terzo patrono di Roma, dopo Pietro e Paolo. In quell’occasione – rammenta ancora padre Tamburo – “la sua sepoltura venne solennizzata nella cripta e la basilica fu rinominata Sancti Sebastiani”.
“Lo scorso anno, in occasione della festa liturgica del 20 gennaio – aggiunge – è stata effettuata la ricognizione delle reliquie, la prima dal 1511. L’urna è stata riaperta dopo cinquecento anni: sono ancora presenti le ossa della caviglia, del ginocchio o del gomito. In quell’occasione è stata prelevata un’insigne reliquia, che sta viaggiando per il mondo, dall’Europa all’India”.
Il significato spirituale del martirio
Da ogni latitudine, pellegrini si recano nella Basilica romana in preghiera presso la tomba del santo o davanti alle altre reliquie qui custodite, come l’impronta dei piedi di Cristo, proveniente dalla vicina chiesa del Domine Quo Vadis. “I pellegrini si fermano a pregare, consapevoli che il martirio non è uno spreco di vita e che il dolore fa parte del cammino cristiano”, ma non ha l’ultima parola. “Offrono le loro sofferenze, il loro stesso martirio, che li conforma a Cristo, come accadde per Sebastiano e per tutti i primi martiri. Quando soffriamo – suggerisce il padre rettore – lo facciamo in nome di Gesù e per la salvezza degli uomini”.
Il Salvator Mundi di Bernini: l’ultimo capolavoro
Senza considerare l’inestimabile tesoro archeologico delle catacombe, il patrimonio storico, artistico e spirituale della Basilica si è ulteriormente arricchito negli ultimi trent’anni con un capolavoro unico, divenuto una delle sue principali attrattive: l’ultima opera scultorea del Bernini, il Salvator Mundi, realizzata nel 1679, all’età di ottant’anni, per la regina Cristina di Svezia.
“Il Maestro, cristiano convinto nella vita, lo chiamava il suo ‘Beniamino’, pensando al dodicesimo e ultimo figlio di Giacobbe”, racconta il parroco. “È la conclusione del suo percorso spirituale e artistico. Se ne era persa traccia per secoli: era collocata nella portineria del nostro convento francescano, ma il suo valore ci era ignoto. Solo negli anni Novanta è stata finalmente identificata dagli esperti”.
In tempi ancora più recenti, uno studio affascinante ha rivelato un nuovo aspetto straordinario legato alla fede del Bernini: “È stata effettuata una sovrapposizione con il volto della Sindone e, in modo incredibile, si è scoperto che le due immagini combaciano perfettamente nelle proporzioni. Questo suggerisce non solo che Bernini abbia visto e studiato la Sindone, ma rappresenta anche una testimonianza ulteriore della sua profonda cristianità”.
Il nostro viaggio a San Sebastiano non si ferma qui. Nelle prossime settimane vi accompagneremo sottoterra nelle catacombe dedicate al martire romano… (continua)