La bestia non s’è mangiata la vita. È stata sconfitta. Può sembrare paradossale, o impossibile, ma è andata proprio così. Il cuore di Cesare, Cece, Zambon, si è fermato il 21 febbraio scorso nell’hospice pediatrico “Il Guscio dei bimbi” dell’ospedale Gaslini di Genova.
Cece ha visto con gli occhi solo per diciotto mesi. Il resto dei suoi sei anni (ne avrebbe compiuti sette il 25 maggio prossimo) li ha trascorsi a lottare contro un tumore al cervello – la “bestia”, come l’hanno soprannominato i genitori Federico e Valentina, frutto avvelenato di una malattia rara, la neurofibromatosi, che colpisce una persona su quattromila – che l’ha reso cieco e poi gli ha portato via molto, non tutto.
Non la capacità di vedere con il cuore e l’immaginazione, ad esempio, non lo spirito avventuriero, non la dolce sfrontatezza tipica dei bimbi della sua età: «Mamma, io sono bello e mi piacciono la velocità e il mare», ripeteva spesso facendosi portare in moto da Vanni Oddera, campione di freestyle motocross che s’è inventato la mototerapia per i bambini come Cece, oppure “costringendo” mamma e papà a portarlo in barca a vela o a donargli un pianoforte che in uno dei video postati sui social strimpella allegramente.
«Cesare non è solo la sua malattia, è quello che ci è lasciato, è tutta vita», dice Valentina con accanto il marito nella sua casa di Genova dove li incontriamo e dove Joy, il labrador nero, che è stato il cane guida di Cece in questi anni, ora s’aggira sornione mentre vuole giocherellare. «A giugno scorso i medici ci avevano detto di essere molto preoccupati per l’avanzare del tumore al cervello ma io non mi sono persa d’animo e ho portato Cesare con i suoi fratelli, Alessandro e Teresa, in vacanza in Puglia», racconta ancora Valentina, «già a maggio del 2022 ci avevano avvisati che non sapevano quanto sarebbe vissuto perché il tumore si era spostato in una zona delicata del cervello, l’ipotalamo. “Non resta molto tempo, fate tutto quello che potete fare con Cesare ma fatelo in fretta”, ci dissero. Abbiamo avuto un anno e mezzo. È stata un’avventura straordinaria».
Parole che non sono il frutto dell’allucinazione di due genitori travolti dal dolore. È il modo con cui Valentina ha raccontato la storia di suo figlio sin dall’inizio. Prima sui social (Facebook e poi Instagram) dove la pagina La storia di Cesare ha conquistato quasi 500mila followers. Sfogliandola, non si trovano rabbia, disperazione, paura.
Tutti i messaggi della famiglia Zambon sono improntati alla forza di vivere, al coraggio, alla speranza, soprattutto, all’amore per la vita. Ecco Cece sorridere sul letto d’ospedale. Ecco Cece in braccio alla madre davanti al mare di Boccadasse. Eccolo ancora abbracciato da Olly, il vincitore di Sanremo, il 2 novembre scorso in una manifestazione a Genova. O portato fuori in passeggino con la madre che gli descrive cosa accade intorno: adesso arriva un motorino, ora scatta il rosso. Scrive: «La vita mi ha donato te e quindi la celebrerò. Semplicemente noi. Un respiro alla volta». Poi aggiunge, citando Fiorella Mannoia: «Per quanto assurda e complessa ci sembri, la vita è perfetta. Per quanto sembri incoerente e testarda, se cadi ti aspetta. Siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta. Tenersela stretta».
Alcune immagini di Cesare Zambon tratte dai social
Dopo il racconto sui social, Valentina ha scritto anche due libri: E voleremo sopra la paura (DeAgostini), uscito l’anno scorso dopo il successo del bestseller La storia di Cesare del 2023 in cui Valentina ha raccontato la malattia del figlio e la storia di una famiglia che non si è arresa al dolore, non si è lasciata sopraffare dalla bestia, anche in alcuni tornanti ha rischiato di deragliare.
Raccontare è sempre un atto d’amore. E permette di non sentirsi soli. «È quello che ci ha salvato in questi anni», confida Valentina, «quando è arrivata la diagnosi della malattia a Trieste ci siamo sentiti spiazzati, sopraffatti, inermi. Anche se si hanno tanti amici, tante persone accanto che ti vogliono bene, la malattia, per di più una malattia rara come questa, ti sbalza in una terra straniera, ti ricaccia nella solitudine, ti fa sentire diverso, un alieno. È quello che è accaduto alla nostra famiglia».
È beffarda, all’inizio, la neurofibromatosi. Si manifesta con macchioline color caffelatte sulla pelle, come delle piccole voglie che suscitano quasi un senso di tenerezza. La domanda dei medici, all’inizio, è sempre una sola: quante sono? Perché dal numero si capisce se è una bestia che si può domare e tenere sotto controllo oppure no.
«Per Cesare non è stato così», dice Valentina, «gli ha causato un tumore al cervello che a 18 mesi gli ha fatto perdere la vista. Da lì in poi, la bestia ha sempre alzato l’asticella: il Covid, la cecità, la corsa al Gaslini dove i medici, davanti alla stessa situazione, erano molto meno ottimisti rispetto ai colleghi di Trieste». Tutto in fretta.
Federico e Valentina hanno lasciato Conegliano Veneto, dove vivevano, per trasferirsi a Genova per curare Cece: «Una città che ci ha accolto benissimo e dove adesso ci sentiamo a casa. Non ce ne andremo più». Questa è la città dove il figlio maggiore, Alessandro, che frequenta la terza media, gioca nelle giovanili del Genoa mentre la sorellina, Teresa, è all’ultimo anno della scuola elementare.
Quando a novembre del 2019, a Roma, Valentina e Federico erano usciti dall’ospedale con la certezza che Cesare non avrebbe più riacquistato la vista, come gli avevano detto i medici, erano affranti, muti per il dolore. Poi, a Trastevere, si imbattono in una ragazza, Bebe Vio, la quale, quando il suo futuro sembrava spezzato, lei l’ha rimesso in piedi con caparbietà e forza d’animo fino a diventare campionessa mondiale di fioretto con due medaglie d’oro conquistate a Rio 2016 e Tokio 2020. Valentina va a disturbarla, Bebe Vio le dice: «Io ho un amico strafigo che è cieco ma la vita se l’è presa tutta».
L’amico è Daniele Cassioli, cieco dalla nascita appunto, il più grande sciatore nautico paralimpico di tutti i tempi che ha conquistato 28 titoli mondiali, 27 titoli europei e 45 titoli italiani. Così Cassioli diventa amico di Cece e della sua famiglia. «Fu un incontro provvidenziale», dice Valentina, «compresi che Cesare avrebbe potuto vedere in un altro modo, non con gli occhi ma con tutti gli altri sensi e con il cuore. Noi lo abbiamo assecondato, l’abbiamo lasciato cadere e rialzarsi da solo, l’abbiamo lasciato sbagliare, sbattere in casa contro qualche spigolo.
La famiglia Zambon nella casa di Genova. Da sinistra, papà Federico, 44 anni, Teresa, 10 anni, mamma Valentina, 38, con Cesare, e il figlio maggiore Alessandro, 14. Con loro anche il labrador Joy, che è stato il cane d’assistenza del bimbo durante la malattia (ph courtesy Azzurra Simula)
Sotto i colpi della bestia, anche la famiglia Zambon ha rischiato di andare in frantumi. «Sì, perché all’inizio io e Federico ci siamo divisi su tante cose che riguardavano la malattia, credo sia anche normale, poi ci siamo fatti aiutare dagli psicologi e abbiamo compiuto un percorso. Rispetto a cinque anni fa siamo due persone completamente diverse», dice Valentina.
Gli ultimi giorni di Cesare sono trascorsi nell’hospice del Gaslini: «Un ambiente accogliente e per niente lugubre», raccontano i genitori, «dove anche Alessandro e Teresa sono venuti a condividere con il fratellino il suo ultimo tratto. Gli psicologi e anche i medici dell’ospedale ci hanno detto che era giusto così. La morte è spesso un tabù ma fa parte della vita».
Federico e Valentina hanno voluto per Cece non un funerale classico ma un ricordo festoso, una commemorazione organizzata a casa di alcuni amici di famiglia dove tutte le persone che hanno partecipato hanno condiviso un ricordo di Cece. Gli chiedo se sono credenti. «Io e Federico siamo pecorelle smarrite», risponde Valentina abbozzando un sorriso, «ma molti credenti, quando li incontro o mi iscrivono sui social, mi dicono che la nostra testimonianza è un inno potente alla vita e alla speranza».
Agli altri genitori che come loro attraversano la notte oscura della malattia di un figlio, Valentina raccomanda «un passo alla volta, guardandosi i piedi. Non bisogna sopravvivere ma vivere. Dico sempre di pensare alle cose belle, di progettare cose belle, anche quando sembra che tutto stia crollando. Negli ultimi anni la scienza ha fatto passi da gigante nella ricerca. Li continuerà a fare. Dobbiamo fidarci».
Cesare è stato cremato. Le ceneri saranno collocate nella nuova casa dove la famiglia Zambon sta traslocando, sul pianoforte che mamma e papà gli avevano fatto regalare per il quinto compleanno. «Amava moltissimo suonarlo, si divertiva un sacco», ricorda Valentina.
Joy si accuccia sornione accanto al tavolo. C’è Teresa che sta uscendo da scuola e papà deve correre a prenderla. La vita che continua.
La storia di Cesare non è solo la sua malattia e la morte. È la storia di un bambino (e di una famiglia) che hanno messo bellezza anche nel dramma, una scintilla di vita nello scandalo, senza risposte, del dolore innocente, quello dei bambini.
Valentina Mastroianni e la copertina del suo ultimo libro (foto Giovanni Panizza)