L’evento che promuove lo sviluppo dello sport femminile e la pratica sportiva negli istituti penitenziari è stato presentato ieri alla Camera dei Deputati. Il progetto che dà voce a esperienze e testimonianze di chi lotta per una maggiore inclusione è raccontato in due cortometraggi curati dalla Lega Nazionale Dilettanti
Gianmarco Murroni – Città del Vaticano
Il pallone posizionato qualche metro fuori dall’area di rigore, la rincorsa con lo sguardo fisso sul terreno, il tiro morbido, a giro, che prima di insaccarsi in rete passa proprio lì, sopra la barriera. È facile per i numerosi appassionati di calcio visualizzare nella mente l’immagine dei tanti campioni, del presente e del passato, capaci di compiere tale gesto tecnico nel rettangolo di gioco. Fare gol superando la barriera è l’obiettivo di chi si incarica di tirare un calcio di punizione, ma superare la barriera, o le barriere, è anche l’obiettivo della Lega nazionale dilettanti, l’associazione della quale fanno parte le società affiliate alla Federazione italiana giuoco calcio, che partecipano alle serie dilettantistiche del campionato italiano: ‘Sopra la barriera’, infatti, è il nome del progetto che la Lega nazionale dilettanti sta portando avanti per lo sviluppo del calcio femminile in Italia e per il ruolo dello sport come mezzo di rieducazione all’interno degli istituti penitenziari.
Sopra la barriera
L’aula dei gruppi parlamentari della Camera dei Deputati ha ospitato ieri l’evento per promuovere il progetto ‘Sopra la barriera”. Numerosi gli ospiti che hanno portato la loro testimonianza durante il convegno: da Sara Gama, capitano della Juventus femminile, ad Agata Centasso, centrocampista del Venezia femminile; da Josefa Idem, campionessa olimpica di kayak, a Rosella Sensi, dal 2015 al 2016 capo del Dipartimento calcio femminile della Lega nazionale dilettanti. Ad aprire l’evento, i saluti istituzionali dell’onorevole Anna Ascani, vicepresidente della Camera dei Deputati, di Gabriele Gravina, presidente della Figc, e di Giancarlo Abete, presidente della Lnd. A spiegare il senso di questo progetto, che ha portato alla nascita di due cortometraggi, è proprio Abete: “Sono due iniziative che hanno obiettivi diversi, anche se tra di loro sinergici. Da una parte il fatto di dare valore alla parità di genere, favorendo il più possibile il calcio femminile; dall’altra mettere in luce il valore del riscatto sociale, mostrando la realtà delle carceri, dei detenuti, dell’opportunità di fare sport e di fare squadra”. La dimensione del calcio dilettantistico e del movimento calcistico dei dilettanti “deve essere fatta di valori.” – conclude il presidente della Lnd – “Noi cerchiamo di abbinare alla componente agonistica e competitiva, che è fisiologica nello sport, una grande attenzione ai valori della socialità e dello stare insieme.
Calcio femminile
Ad analizzare lo sviluppo del calcio femminile è Sara Gama, che con la maglia della Juventus e della Nazionale italiana è diventata un simbolo del movimento calcistico per le donne: “È stato un cambiamento impegnativo ed entusiasmante, io e le mie compagne lo abbiamo vissuto in prima persona. Sono cambiate tantissime cose, oggi lasciamo qualcosa che non avremmo immaginato prima. Ora è necessario lavorare su questa base. Nessuno sport femminile in Italia è stato professionistico prima del nostro, è una svolta epocale che ha riconosciuto il nostro lavoro come professione”. Gama spiega che i numeri in Italia sono ancora bassi, per far sì che crescano bisogna lavorare sul territorio: “Ci vorrà del tempo, servono progetti e investimenti mirati, per aiutare le società nel territorio che sono quelle dove le bambine hanno più possibilità di giocare”. In campo, come difensore, ha sempre mostrato grinta e la leadership, ma fuori dal campo non è da meno: basti pensare che dal 2018 è consigliere federale Figc, dal 2020 è vicepresidente Aic e dal 2021 è membro della Commissione nazionale atleti del Coni. “Provo a impegnarmi anche fuori dal rettangolo di gioco, determinati ambienti sono fondamentali per plasmare la nostra realtà. Mentre si gioca non ci si rende conto, ma le decisioni prese in determinati luoghi incidono enormemente su di noi. A me interessa incidere su queste decisioni”.
Il calcio che unisce
“Il calcio è bello perché unisce, non ci sono persone vincolate a quello che hanno fatto in passato. Una volta entrati in quel rettangolo verde siamo tutti uguali”. Romolo Cimini è un brigadiere della polizia penitenziaria della casa circondariale di Lanciano, in Abruzzo, ma è anche l’allenatore della squadra dei detenuti dell’Istituto di pena. “In campo siamo tutti amici, rispettiamo delle regole, i detenuti vivono questi istanti come se fosse qualcosa di prezioso. Si mettono in gioco, riconoscendo i propri errori, ma tramite il calcio cercano di ripartire per una vita migliore. Il nostro regolamento prevede di rieducare le persone detenute, ma questa opportunità ci aiuta a contribuire al loro reinserimento nella società”. Cimini, per sottolineare il ruolo dello sport nelle carceri, racconta un aneddoto: “Durante una partita un ragazzo ha commesso un fallo di reazione, una cosa che è vietata dal nostro regolamento, per cui avrebbe dovuto saltare la partita successiva. Quando l’ho richiamato dal campo inizialmente non l’ha presa bene, ma subito dopo mi ha chiesto scusa, dicendomi che era dispiaciuto e voleva essere parte di questa squadra. Ecco il calcio che unisce”. La vera vittoria, dunque, non è quella segnata sul tabellino a fine partita, ma la possibilità di stare insieme e riconquistare la propria vita: “Loro non tengono al campionato, ma alla Coppa Disciplina: dall’esterno il detenuto viene spesso visto esclusivamente come una persona che ha commesso reati, loro dimostrano di essere dei ragazzi affidabili”.