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Padre Mykhalkiv: “I russi non si fermano, perché non ci riconoscono come popolo”



Padre Ruslan Mykhalkiv concelebra la messa con padre Miszka Romaniv nella Chiesa dell’Esaltazione della Santa Croce a Fastiv.

Una tregua parziale, di 30 giorni, limitata alle infrastrutture energetiche. È quanto sono arrivati a definire Donald Trump e Vladimir Putin nella loro lunga telefonata. Una tregua, per l’appunto, parziale, che non vuol dire affatto – almeno per ora – cessate il fuoco. Raid e attacchi con droni sono continuati in modo incessante, da entrambe le parti, per tutta la notte scorsa. A Sumy, nel Nordest dell’Ucraina, le forze russe hanno colpito due ospedali, di cui uno pediatrico. Numerose esplosioni sono state avvertite nella notte intorno a Kyiv. Anche Chernihiv, nella regione settentrionale, è stata bersaglio di attacchi. Intanto, oggi, Putin ha dichiarato che «le forze russe stanno completando l’operazione per cancellare le truppe ucraine nella regione di Kursk». 

«La notte scorsa è stata molto rumorosa, ci sono stati attacchi anche nella nostra zona, a Bucha hanno colpito diverse case. Purtroppo però è ciò che continuiamo a vivere ogni giorno». I russi, ormai lo sappiamo per esperienza, non fanno mai ciò che dicono a parole. Fanno finta di essere per la pace, di avere buona volontà, ma alla fine continuano a fare ciò che vogliono. Da un lato accettano la tregua, dall’altro però continuano a provocare con gli attacchi per vedere quale sarà la reazione e capire quale strada sia la migliore». All’indomani del colloquio fra il presidente Usa e il leader del Cremlino, a parlare da Vorzel, cittadina della regione di Kyiv, è padre Ruslan Mykhalkiv, 45 anni. Fra il 2012 e il 2017 padre Ruslan ha studiato Teologia morale in Italia, a Roma, presso l’Accademia Alfonsiana, da alcuni anni è rettore del Seminario teologico maggiore del Sacro Cuore di Gesù della diocesi di Kyiv-Zythomyr.

All’inizio dell’invasione russa, nel 2022, quando le truppe di Mosca dalla Bielorussia hanno puntato su Kyiv con l’obiettivo di occuparla, hanno sferrato un massiccio attacco alle cittadine a Nord-ovest della capitale, Irpin, Vorzel, Bucha, Borodyanka. I 25 seminaristi con il rettore e altri formatori sono dovuti scappare e il seminario di Vorzel è stato preso e saccheggiato dalle forze russe, che si sono accaparrate tutto quello che potevano, compreso il calice che papa Giovanni Paolo II aveva usato durante la messa celebrata a Kyiv nel 2001. Ad aprile il rettore è rientrato al seminario (dopo aver ricevuto il permesso dello Stato per tornare) con la speranza di sistemarlo e riprendere al più presto le attività. «Da quando è iniziata la guerra, i seminaristi qua sono molto pochi. Tanti ragazzi, possibili candidati per entrare in seminario, se ne sono andati, la maggior parte di loro non tornerà più». Così come non torneranno più tantissime famiglie ucraine fuggite all’estero con i figli, «che quasi non sanno cosa sia l’Ucraina, perché se ne sono andati da piccoli, e con il passare del tempo difficilmente vorranno tornare qui».  

La diplomazia internazionale è al lavoro per arrivare a un negoziato. Ma padre Ruslan, come tanti in Ucraina, osserva con sguardo disincantato e ben poche illusioni. Perché tante, troppe sono le incognite. E immani la sofferenza, le ferite aperte, profonde del popolo ucraino. «Noi vogliamo costruire una società libera. Gli ucraini amano e vogliono la libertà. Certo, raggiungerla è una sfida difficile, dolorosa, stancante». E continua: «Tutto quello che stiamo vedendo a livello internazionale a me sembra una partita di poker, non ci sono certezze, non sappiamo davvero cosa succederà. Il supporto all’Ucraina si è indebolito, con il disimpegno degli Stati Uniti (che due settimane dopo ha rinnovato il suo impegno). Ciò che vediamo è che i russi avanzano, l’Europa parla a voce alta, ma il suo sostegno all’Ucraina purtroppo non è onnipotente. I russi invece sono molto potenti e seminano violenza. Con i negoziati, non so dove si arriverà e come andrà. So che il Signore agirà in qualche modo, dobbiamo credere nella sua azione, perché l’azione umana è un disastro».

La pace, osserva padre Ruslan, prima di tutto significa «non permettere all’odio di entrare nel cuore, che è uno dei frutti più pericolosi della guerra. Perché se cominci a odiare distruggi non solo materialmente ma anche spiritualmente. Anche i soldati sanno che al fronte se lasci entrare nel tuo cuore emozioni negative come l’odio, è finita, sei distrutto, nel rischio di essere ucciso. Sul piano pratico, politico e sociale, la pace significa ovviamente fermare il conflitto. Ma noi abbiamo vissuto la guerra e fermato i russi prima nel 2014. Poi cosa è successo? C’è stata l’invasione nel 2022, perché la Russia era convinta che l’Europa non avrebbe opposto resistenza. Ma hanno fatto male i loro calcoli. Ora siamo arrivati al 2025 e si parla di negoziati di pace. Ma chi ci assicura che la guerra non riprenderà di nuovo nei prossimi anni, nel 2028, nel 2030? Perché parliamo di persone che hanno l’ossessione di distruggere, eliminare. Pe i russi il popolo ucraino non esiste, e se esiste in qualche forma è uno sbaglio che va corretto. Forse io parlo in modo molto duro, ma le mie parole non sono dettate dalle emozioni, sono basate semplicemente sui fatti, sull’osservazione della realtà. Se la mia opinione è sbagliata sarò felice di ricredermi. Non ho un’idea fissa che devo difendere per forza».

Da sacerdote, riflette sul perdono. «Per me la domanda di fondo è: vogliamo distruggere o costruire con l’altro?Il Signore ci insegna a costruire il bene, non a distruggerlo. Però costruire non è un atto univoco, da una parte sola: la costruzione implica una relazione con un’altra persona. I russi sono orgogliosi della guerra, continuano a coltivare il loro sogno imperialista. Allora noi come dobbiamo agire? Io penso che dobbiamo custodire e proporre il bene. Ma per farlo dobbiamo avere la possibilità di difenderci.  E poi dobbiamo ricostruire la nostra società. È chiaro che, comunque vadano ora i negoziati, il nostro confronto con la Russia non potrà finire perché condividiamo più di 1.500 chilometri di confine. Dovremmo pacificarci con loro? Forse questo succederà, un giorno, magari fra cinquant’anni… Ma sembra che loro non chiederanno mai perdono, pensano che siamo noi ucraini a dover chiedere scusa perché esistiamo con la nostra identità. Il problema di fondo è proprio questo: i russi non riconoscono il nostro diritto all’esistenza come popolo».

(Foto in alto: padre Ruslan Mykhalkiv, 45 anni, rettore del Seminario teologico maggiore di Vorzel)





Dal sito Famiglia Cristiana

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