di Lorenzo Rossi
Un’America in guerra senza una guerra. È così che si potrebbe descrivere l’ultima mossa di Donald Trump, che il 15 marzo ha invocato una legge di tempi di guerra per espellere oltre 200 presunti membri della gang venezuelana Tren de Aragua verso El Salvador. Una decisione senza precedenti nella storia recente degli Stati Uniti, che ha sollevato l’indignazione delle organizzazioni per la difesa dei diritti civili. Il timore? Che questa sia solo la prima di una lunga serie di deportazioni su larga scala, sfruttando una legislazione nata per scenari bellici reali.
Un giudice federale aveva tentato di bloccare l’operazione, imponendo una sospensione di quattordici giorni per valutare la legittimità del provvedimento. Ma la Casa Bianca ha dichiarato che gli aerei con a bordo i detenuti erano già decollati quando la decisione del tribunale è stata emessa. Fatto compiuto, punto e a capo.
Quando la legge diventa un’arma politica
La Casa Bianca giustifica l’operazione appellandosi alla lotta alla criminalità organizzata. Secondo l’amministrazione Trump, il Tren de Aragua non è una semplice gang, ma una “organizzazione terroristica” che conduce “una guerra irregolare” contro gli Stati Uniti, con la complicità – palese o occulta – del regime di Nicolás Maduro in Venezuela.
E qui si apre un enorme dibattito. Le organizzazioni per i diritti umani ACLU e Democracy Forward contestano l’uso della normativa, sottolineando che l’Alien Enemies Act non è mai stata applicata in tempo di pace. “Un giorno terribile per la nostra nazione” – denunciano – “il presidente ha reso pubblica la sua intenzione di invocare poteri straordinari in assenza di una guerra o di un’invasione”.
Un’arma legislativa nata più di due secoli fa
Ma cos’è questa legge che Trump ha riportato alla ribalta? L’Alien Enemies Act risale addirittura al 1798, una delle leggi sulla sedizione e gli stranieri, approvate quando gli Stati Uniti temevano una guerra con la Francia rivoluzionaria. Di quel pacchetto legislativo, solo questa norma è sopravvissuta fino ai giorni nostri.
In tempo di guerra, l’Alien Enemies Act concede al presidente poteri eccezionali, autorizzandolo ad arrestare, trasferire ed espellere cittadini di paesi nemici senza bisogno di prove, udienze o processi. Nella storia americana è stata usata solo tre volte:
1812, guerra anglo-americana: i britannici residenti negli Stati Uniti vennero registrati e controllati.
1917, Prima Guerra Mondiale: il presidente Woodrow Wilson la utilizzò per internare circa 6.000 cittadini degli Imperi Centrali (soprattutto tedeschi).
1941, attacco di Pearl Harbor: Franklin D. Roosevelt ordinò l’internamento di 120.000 giapponesi-americani, di cui due terzi erano cittadini statunitensi. Solo nel 1988 Washington riconobbe l’errore e porse scuse ufficiali alle vittime.
Trump si inserisce dunque in una tradizione storica che, finora, aveva avuto senso solo nei momenti più drammatici della storia americana. Ma oggi non c’è una situazione di guerra per gli Usa come nei tre casi illustrati.
Un precedente che preoccupa
L’invocazione dell’Alien Enemies Act da parte di Trump cambia le regole del gioco nella gestione dell’immigrazione. Se il presidente può dichiarare “nemici” gruppi di migranti, senza che vi sia un conflitto ufficiale, allora la definizione di “minaccia” diventa arbitraria. Chi sarà il prossimo? Messicani, haitiani, centroamericani? La storia americana ha già vissuto stagioni in cui il panico ha giustificato scelte drastiche. Spesso, col senno di poi, sono state riconosciute come errori storici. Ma la lezione non sembra essere stata appresa. Trump sta riscrivendo le regole dell’America post-bellica. La domanda è: chi si opporrà prima che diventino la nuova normalità?