La notizia della morte della Tv generalista è leggermente esagerata. Lo conferma Sanremo, come spiega il massmediologo Massimo Scaglioni, docente in vari corsi all’Università Cattolica e direttore del Master sulla televisione presso l’Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo (ALMED) dell’ateneo. «Il Festival ha avuto una media di spettatori superiore ai 12 milioni, con un incremento significativo rispetto all’anno scorso. Questo dimostra che la TV lineare non è affatto in crisi, anzi».
Quindi possiamo dire che la Tv generalista ha un grande avvenire nonostante i social?
«Decisamente. I social non hanno frantumato la Tv, anzi, hanno contribuito ad amplificarne il successo. I dati raccolti dal mio centro di ricerca Certa Sensemakers mostrano un incremento del 60% delle visualizzazioni di contenuti legati a Sanremo su TikTok, che è il social preferito dalle nuove generazioni».
Che giudizio dà dal punto di vista mediatico della rassegna canora più famosa del mondo?
«Direi che questo Festival è stato percepito come il ritorno alla normalità. Lo stesso Carlo Conti, in conferenza stampa, ha sottolineato questa dimensione più tradizionale, sobria e meno polemica, dicendo apertamente di avere come modello Pippo Baudo. La sua conduzione ha favorito uno stile essenziale e lineare, senza troppi fronzoli. La prima e l’ultima serata, ad esempio, sono state quasi esclusivamente dedicate alle canzoni»
Come si spiega questa sinergia tra TV e social?
«Ormai è un gioco di sponda tra le due piattaforme. Molti cantanti in gara sono già attivi sui social, penso a Fedez o Tony Effe. Questo crea un’attenzione mediatica costante e rafforza l’evento. La TV generalista e i social non si annullano a vicenda, ma si potenziano reciprocamente»
Il nome tutelare di questo Festival è Pippo Baudo, ma i suoi Sanremo erano molto meno sobri di quelli di Conti.
«Assolutamente. I Festival di Baudo erano lunghissimi, con pre-festival, dopo-festival, e la sua presenza era molto più marcata. Conti, invece, ha adottato una conduzione più discreta, lasciando spazio alla musica e puntando su un ritmo serrato. Mi ha colpito la sapienza tecnica con cui sono state costruite le serate, che hanno capitalizzato il massimo del risultato».
Parlando di ritmo, il Festival di quest’anno ha sacrificato i momenti di spettacolo per favorire la gara musicale?
«Sì, esattamente, il ritmo è stato molto intenso. La prima serata aveva 29 canzoni e si è conclusa poco dopo l’una di notte. Le altre serate hanno chiuso abbastanza presto rispetto agli anni scorsi. Questo ha reso il Festival molto focalizzato sulla musica, ma ha anche penalizzato alcuni momenti di spettacolo».
Quali sono stati i momenti più riusciti?
«Sicuramente la serata delle cover del venerdì, un appuntamento ormai consolidato. Ci sono stati bei momenti, come il duetto tra Giorgia e Annalisa su ‘Skyfall’ e l’omaggio di Lucio Corsi con Topo Gigio, che ha strappato sorrisi. Anche il messaggio del Papa e la presenza del calciatore della Fiorentina Edoardo Bove hanno aggiunto valore alla kermesse».
Nonostante il successo generale, l’ultima serata ha registrato un lieve calo negli ascolti. Come lo spiega?
«Forse l’impressione è stata che tutte le canzoni fossero già state ascoltate e assimilate attraverso radio e piattaforme digitali. La finale, quindi, ha dato una sensazione di ripetizione».
Guardando al futuro, cosa dovrebbe cambiare per mantenere l’attrattiva del Festival?
«A mio avviso, il rischio è alto se si replica esattamente questa formula. Bisognerebbe ridurre il numero delle canzoni e rendere il sistema di votazione più trasparente e spettacolare. Il sistema di voto di Sanremo continua a generare polemiche, come la mancata presenza in cinquina di Giorgia, che aveva una canzone di grande qualità. Inoltre, una riduzione del numero dei brani in gara migliorerebbe la fruibilità e l’interesse del pubblico. Gli autori e il direttore artistico dovranno lavorare su questi aspetti. Rifare una formula come quella di Sanremo 2025 è molto rischioso: il rischio è la noia».