La copertina del libro e l’autore Fabio Massa
La Milano degli affari in perenne movimento è più di uno sfondo. Il lobbista, tratteggiato solo con le iniziali, A.F.M., si muove con disinvoltura e scaltrezza. Conosce i lati oscuri e sa come aggirare le insidie. Fa il suo mestiere senza empatia. Fino a quando non arriva a un punto drammatico di rottura.
È quello che racconta, con stile incalzante, Fabio Massa, giornalista, scrittore e presidente della Fondazione Stelline di Milano, nel suo esordio narrativo, Il Lobbista (Laurana Editore, 223 pp., 18 euro).
«La trama principale è inventata, alcuni personaggi pure, il protagonista non sono io, anche se appaio come giornalista», spiega, «attorno al lobbista c’è una marea di aneddoti che sono tutti romanzati eppure reali: sono cose che ho visto, sentito, che mi sono accadute o sono accadute a chi conosco. Vere no, verosimili sì, perché non è un saggio ma un romanzo».
Massa, chi sono i lobbisti?
«Persone necessarie al sistema. E non sono cattivi per definizione. Da una parte c’è la Pubblica amministrazione, istituzioni, enti e, dall’altra, il mondo privato (aziende, multinazionali…). In mezzo, a separare i due mondi, c’è una barriera bella grossa, com’è giusto che sia, che è la burocrazia con le sue regole. Ci sono delle persone che portano le istanze degli uni e degli altri attraversando questa barriera, facendo la spola. Questi sherpa sono i lobbisti, che quando sono bravi e onesti lo fanno in maniera trasparente e alla luce del sole. È un mestiere necessario, il loro. Il problema è quando il lobbista non fa bene quello che deve fare, e passa il limite della moralità, della trasparenza e della legalità. E quando oltrepassi il limite succedono cose gravi».
A.F.M., il protagonista del suo romanzo, che tipo di lobbista è?
«Sicuramente capace e in gamba. Poi diventa cattivo, e viene punito. Nella realtà, i lobbisti cattivi sono un grande danno per il Paese».
Tra buoni e cattivi chi prevale?
«Io, in base alla mia esperienza, ho trovato molti più politici e imprenditori cattivi, di lobbisti cattivi. La cattiveria del lobbista è la spregiudicatezza oltre il limite. Il sistema che li criminalizza e non li rende trasparenti non è un buon sistema. L’attività del lobbista sembra sempre qualcosa di opaco. Negli Stati Uniti è normale che la Coca-Cola abbia un suo lobbista all’interno del Congresso. In Italia non si capisce perché una grossa azienda non debba avere il suo lobbista, che si presenta come tale, in maniera trasparente, all’interno del Parlamento. Qualche anno fa avevano iniziato a fare il registro dei lobbisti che accedevano alla Camera: chi lo usa più? Nessuno. Ci ricordiamo che i lobbisti esistono quando viene fuori un’inchiesta con tanti soldi in ballo. I lobbisti sono nel mirino perché la politica, che ha bisogno di soldi, li vuole utilizzare per trovare fondi nel mondo dei privati. Di fatto prova a utilizzarli come spalloni per portare soldi dalle aziende ai candidati».
All’inizio del libro troviamo il lobbista aggirarsi per le tombe del Cimitero Monumentale di Milano. Un luogo denso di significato. Perché proprio lì?
«Perché in una città come Milano dove tutto si muove rapidissimamente e la gente fa soldi, li perde, ascende e discende, e dove c’è un mondo dove la ricchezza pare eterna, inscalfibile, il cimitero fa quasi da contrasto. È il luogo del “sic transit gloria mundi”, dove tutti, anche le famiglie più importanti, i milanesi nobili, i migliori talenti meneghini finiscono sotto terra. È molto istruttivo andare al cimitero e cercare le tombe di famiglia dei ricchi imprenditori i cui rampolli sono ancora sulla scena e comandano. È istruttivo perché vedi quanta è stata lunga e complessa la fabbricazione di quella ricchezza e quanto è profondo il loro legame con la città. E poi il Cimitero Monumentale è un luogo dove non ci va nessuno pur essendo un posto magnifico. Mi sono immaginato che per il lobbista quello sia il luogo dove potersi fermare e riflettere, dire cose non politicamente corrette, che è poi il pregio di A.F.M. il quale dice sempre la verità anche quando sarebbe più conveniente, per se stesso e il suo lavoro, dire qualche bugia. Da questo punto di vista, è un lobbista un po’ atipico».
Cosa vuol dire potere per il protagonista? In un passaggio a proposito dei funerali come specchio del Paese, afferma: “Nel mondo del potere nessuno muore”.
«Una frase che ripeto sempre anch’io, nella vita reale. In questo mondo nessuno muore professionalmente fin quando non è morto fisicamente. Solo dopo la morte fisica si scompare dalla scena. Non perché il potere renda eterni ma chi ha il potere in una città come Milano è perché se l’è conquistato. E non si conquista per un colpo di fortuna ma perché si hanno delle doti, non necessariamente pregi, che hanno permesso di conquistarlo. E queste doti restano anche quando sei appannato o vai in crisi. L’intelligenza, la strategia, la furbizia, la resilienza. Io ho visto che chi ha il potere ed è andato in crisi, finita la tempesta presto o tardi torna sulla scena, a meno che non abbia veramente deciso di ritirarsi. Tutti quelli che sono stati espulsi dal sistema per scandali, disavventure giudiziarie, imprudenza ma avevano le doti, e la voglia, sono tornati. Nessuno muore fin quando non è morto, appunto».
Milano è centrale in questo libro. Come è cambiato, se è cambiato, il tuo sguardo su Milano in questo romanzo rispetto al saggio Fuga dalla città del 2021?
«Io adoro Milano, e anche dal punto di vista giornalistico sono specializzato sulle vicende milanesi. In questo romanzo la città è protagonista anche se parlo pure di Roma e Rimini. Milano non è cambiata in nulla, è una città rapida, mangia, inghiotte, espelle, rimangia in maniera molto più rapida di qualunque altra città italiana, Roma compresa. È una città dove c’è sempre spazio per tutti e questo è sempre stato così. Milano, che era già la città più internazionale d’Italia, negli ultimi anni si è internazionalizzata ulteriormente. In passato, aveva dei lati di localismo, c’era la milanesità, anche la frequentazione di circoli più ristretti, dei milanesi per i milanesi, adesso i circoli sono sempre più aperti, inclusivi, più internazionali. I grandi fondi stanno cambiando il volto della città e la stanno, ancora una volta, inondando di soldi. Alla fine, per molti, è questo quello che conta».
Anche per lei?
«Per me no, anzi trovo che tutto questo sia tremendo e soprattutto immorale. Per il mio lobbista sì. Lui ha solo il lavoro nella sua vita e il lavoro s’identifica con il potere, sono le due facce della stessa medaglia, da questo punto di vista il lobbista è una persona a due dimensioni e basta. Io ci tengo ad essere tridimensionale, e poggiare la mia esistenza sulla famiglia».
Le piace ancora Milano?
«Sì però in questi ultimi anni invece di riflettere su se stessa si specchia, e questo non va bene. Faccio un esempio: una città che costruisce grattacieli, quartieri innovativi, trasporti smart ma ha ancora, in pieno centro, un carcere, San Vittore, sovraffollato e con i detenuti che vivono in condizioni igienico – sanitarie disastrose. Un pezzo di città che, pur essendo geograficamente al centro, non fa notizia ed è ignorata da tutti fin quando un detenuto non si impicca o non succede una tragedia. Poi, dopo qualche giorno, torna tutto come prima. Una vergogna, per la politica e per i milanesi».
Come sta la politica a Milano?
«Rispetto al passato l’elaborazione delle idee quasi non esiste più perché non c’è un ragionamento e un’analisi sui problemi della città che ha smesso di riflettere preferendo – come dicevo – specchiarsi per vantarsi. Non è un discorso di partiti o di schieramenti: centro, destra o sinistra. Il pensiero dominante che purtroppo sembra aver contaminato anche la politica è: “Ho i soldi e quindi ho tutto”. Esattamente come fa il lobbista che nel romanzo si diverte qui e là, tra locali eleganti e feste. Ma poi alla fine resta con niente in mano».
“Mai dire la verità, ma nemmeno mai mentire”. La mezza verità sembra essere l’unica via per lobbista. Lei che rapporto ha con la verità?
«Il giornalista deve scrivere sempre la verità, o almeno quello che crede che sia la verità. A volte può sbagliare, ma sempre in buonafede e con onestà intellettuale. Il lobbista usa le mezze verità o le bugie bianche per fare soldi e questa è tutt’altra roba. Io quando scrivo e faccio il giornalista mi attengo a questa regola: scrivi quello che tu pensi sia la verità, senza se e senza ma. Poi non è detto che la verità che io penso di sapere sia sempre quella giusta, ma ci provo, onestamente. Non uso la mezza verità per fare soldi».
Nella seconda parte del libro trovano spazio i risvolti della giustizia, tema a lei molto caro.
«Uno dei più grossi problemi italiani è il malfunzionamento della giustizia. E non parlo solo dell’uso politico della giustizia che è quello che innesca le polemiche più accese. Ci sono decine di aziende che sono fallite perché lo Stato non gli ha pagato in tempo le forniture o i servizi e perché i giudici sono intervenuti tardi e male. Il fallimento di queste aziende vuol dire persone senza uno stipendio, subfornitori nei guai… Purtroppo l’opinione pubblica non ha contezza di questo andazzo che è un freno molto forte per lo sviluppo del Paese: non si capisce quanto è messa male la giustizia fin quando non ci si incappa personalmente».
Nel romanzo il protagonista passa da lobbista a uomo libero. In che modo quella di A.F.M. è una storia di rinascita?
«Lo dico nella dedica ai miei due figli, Sofia e Federico, che ho messo in esergo. La felicità non è necessariamente il potere. A volte la vera libertà sta nel non averlo. Il potere non è una cosa positiva e non è neanche negativa. Dipende da come lo si usa. Chiarisco subito: non usare il potere è molto negativo. Bisogna prendersi le proprie responsabilità e fare quel che si deve. Però, a volte, la rinuncia al mondo del potere, a quel meccanismo infernale rapidissimo, dà una libertà enorme, perché il potere è una costrizione. Se ce l’hai vuoi mantenerlo, e questo costa fatica e sottopone a vincoli. Questa è la rinascita del protagonista del romanzo. Lui rinuncia al potere. Di più non dico: come arriva a liberarsi lo lasciamo scoprire al lettore».