Le nubi dense che circondano il cono del vulcano Nyiragongo, uno dei più attivi e minacciosi del mondo, ora incombono sulla città di Goma, in preda al caos e all’insicurezza. La capitale del Nord Kivu – provincia orientale della Repubblica democratica del Congo – affacciata sulle rive del Lago Kivu, è stata presa d’assalto dai ribelli del movimento M23, il gruppo armato, formato da miliziani di etnia tutsi, che da anni si scontra con l’esercito regolare del Governo di Kinshasa. Alla base del conflitto civile, l’accaparramento delle immense risorse minerarie di cui il Congo dispone. Una ricchezza, quell del sottosuolo, che per il vasto e popoloso Paese dell’Africa centrale rappresenta da sempre un patrimonio prezioso e insieme una condanna, fonte di appetiti internazionali e di conflitti. La provincia del Nord Kivu, in particolare, è ricchissima di minerali, come stagno, tungsteno, coltan, le terre rare ricercatissime dalll’industria dell’elettronica.
Il Governo di Kinshasa accusa i guerriglieri dell’M23 di voler controllare le zone minerarie per rifornire il vicino Ruanda che, secondo le autorità congolesi, sostiene e finanzia i ribelli. Scoppiato fra il 2012 e il 2013, dopo anni di relativa calma il conflitto è ripreso ne 2021. Quasi un anno fa ha subìto un’escalation, quando i ribelli sono quasi arrivati fino alle porte di Goma. Da febbraio del 2024 i miliziani erano appostati aldilà delle colline, nella zona di Sake, a una ventina di chilometri dalla città, dopo aver preso il controllo dei territori (suddivisioni amministrative) di Rutshuru e Masisi (a fare gola, in modo particolare, sono le riserve di coltan di Masisi).
Da lì sembrava che i ribelli non avrebbero osato muoversi, avvicinarsi ancora di più alla città. Solo un mese e mezzo fa, a Goma, alcuni osservatori locali dicevano che i miliziani non avevano interesse a entrare nella città, che comunque era in stato di assedio e pattugliata dalla Monusco, la missione di peacekeeping delle Nazioni unite in Congo. Invece, il 23 gennaio dalle colline i ribelli hanno lanciato una grande offensiva e sono arrivati fino in città, nella parte settentrionale, conquistandola il 26 febbraio. Per le strade di Goma si è creata una situazione difficile, caotica, con scontri e combattimenti violenti fra i ribelli e l’esercito governativo e la fuga di una parte degli abitanti. La frontiera con il Ruanda è stata chiusa. Dal carcere di Muzenze, che ospitava fra i tremila e i quattromila detenuti, nella confusione della presa della città c’è stata un’evasione di massa. I ribelli hanno diffuso un documento nel quale chiedono ai soldati dell’esercito di arrendersi.
Il conflitto civile ha provocato una crisi umanitaria immane: quasi due milioni di persone hanno abbandonato i loro villaggi in Nord Kivu, presi dai ribelli, quasi 500mila sono sfollate nei campi sterminati cresciuti alla periferia di Goma. Insediamenti sovraffollati, dove la gente vive in condizioni di povertà, precarietà, insicurezza alimentare, scarse condizioni igienico-sanitarie. Da parte sua, il Governo ruandese respinge le accuse da parte di Kinshasa di voler sottrarre i minerali al Congo. Fra i due Paesi la tensione è altissima. Il presidente del Kenya William Tuto cerca di mediare fra Kinshasa e Kigali per evitare che la situazione di conflitto degeneri in modo ancora più grave, peggiorando ulteriormente la crisi umanitaria che Goma sta vivendo.
Il vescovo di Goma, monsignor Willie Ngumbi Ngengele, ha emanato un comunicato nel quale chiede a tutte le parti coinvolte nel conflitto armato e alla popolazione di rispettare in modo assoluto «la vita umana e le infrastrutture sia private che pubbliche», Chiede a tutti di «garantire la protezione della vita e l’accesso a tutti i servizi di base e di evitare le violenze sessuali». Ha inoltre assicurato a tutta la popolazione di Goma «la vicinanza e la compassione della Chiesa cattolica», in modo particolare «ai feriti e alle famiglie delle vittime».
(Foto Ansa: sfollati in fuga da Goma verso il Ruanda)