Forse le guerre ci sono sempre state.
Alcuni hanno ancora memoria di quanto hanno sopportato i nostri genitori e nonni, due guerre mondiali, una dittatura, orrore e paura. Non hanno ceduto, hanno costruito il Paese che viviamo, con ostinata fiducia. Ci pare impossibile dai racconti tramandati che la parola speranza abbia accompagnato sempre le loro giornate di miseria e angoscia.
Forse le guerre ci sono sempre state, ma il sentimento globale, soprattutto in Europa, dove la guerra ce l’eravamo dimenticata, è un’aspettativa di catastrofi imminente. L’espressione nota di “terza guerra mondiale a pezzi” coniata da papa Francesco, che ci pareva efficace ma forse semplicistica ed esagerata, ci suona oggi profetica, tragicamente realista. Perché sta andando a pezzi quella voglia di costruire, di unire, di tenere insieme, di fare comunità. Sta andando a pezzi la speranza, che non è un illusorio e inevitabile slancio verso il domani. Quello “speriamo!” che cela invece rassegnazione o più spesso sfiducia.
Incrociare le dita non è sperare, fare gli scongiuri agitando cornetti rossi non è sperare. Si può sperare solo su una fondata certezza: spero perché mi do e affido le mie preoccupazioni. Spero contra spem, nonostante il mio cuore piccino e intristito, perché non potrei vivere altrimenti. Sperare è l’unica chiave per vivere, e non per vivacchiare. Per creare, per amare, per costruire con mattoni nuovi sulle macerie. Le madri dei soldati in guerra, persino loro, sperano che la pace addolcisca il loro dolore, che nuovi figli possano ancora donare sorrisi.
Mi auguro che la speranza conforti e sostenga l’animo spezzato di Cecilia Sala, coraggiosa ragazza e giornalista segregata da un regime infame, crudele, che tanto male ha fatto e continua a fare al suo popolo e al desiderio di pace del mondo. Spero anzitutto per lei e per ciò che rappresenta: la forza della verità, dell’innocenza, del sacrificio. E spero che il suo tempo spezzato da una prigionia oscena non la pieghi e non sia vano.
Ma perché il dolore non sia vano, tocca sperare sì, ma su una certezza. La speranza prende per mano la fede, ma senza la fede, è perdente e vana. Poter avere lo sguardo limpido di Piergiorgio Frassati, santo in questo santo anno della speranza, il più moderno dei santi: «L’avvenire è nelle mani di Dio e meglio di così non potrebbe andare». Lui ci credeva e ha seminato ardimento, carità, serenità in ogni attimo della sua giovane vita. Noi, che santi non siamo, possiamo almeno darci di lui, e di chi come lui, nel pieno delle facoltà mentali, guarda il domani con la luminosa certezza che a una persona, figlio di Dio, noi stiamo a cuore.